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“Ascolto con gli occhi”

“Ascolto con gli occhi”

SLOW FOTO - Il mestiere e l’arte di una donna dietro la macchina fotografica. Intervista ad Antonella Di Girolamo.

Angelucci Nadia Venerdi, 23/12/2011 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Dicembre 2011

La prima fotografia, in bianco e nero, venduta a Rinascita nel 1990 e il prossimo progetto che prevede la partenza, a gennaio, di un corso di fotografia per le detenute nel carcere di Rebibbia, con l’appoggio della Coop Tirreno e dell’Upter. In mezzo venti anni di passione per la fotografia con un percorso che l’ha portata a sperimentarsi in differenti campi: fotoreporter, elaborazioni digitali, insegnante di fotografia.



Cosa significa per te essere una fotografa?

Rappresenta la libertà e la curiosità. Mi sento libera perché organizzo il mio lavoro in maniera totalmente autonoma e soddisfo la mia curiosità perché attraverso la fotografia ho una ‘scusa’ per avvicinarmi a differenti mondi a me estranei e distanti ed essere accettata.



Come si è modificato il mestiere negli ultimi anni?

Il passaggio dall’analogico al digitale è stato un cambiamento epocale. Il vantaggio del digitale è che consente un abbattimento dei costi di sviluppo, stampa e sistema di archiviazione. E in un certo senso mette sotto controllo l’intero lavoro del fotografo che diventa padrone di tutta la filiera. Il digitale ha democratizzato la fotografia aumentando la concorrenza. Questa concorrenza, secondo me, invece di portare ad un livellamento al basso alla lunga costringerà chi vuole fare bene questo mestiere a puntare alla qualità. Uno svantaggio è che abbiamo perso la lentezza e quindi la capacità di entrare in empatia con il soggetto fotografato, sia esso una persona, una situazione, un luogo. Io per fare un servizio torno anche tre volte sul luogo perché lentezza significa per me attenzione. Ecco, vorrei tornare alla slow foto.



Il tuo è un mestiere che sta tra arte e artigianato. Cosa significa per te?

Per me fotografare significa mettermi in ascolto con gli occhi. E’ una cosa che ho imparato viaggiando con un grande giornalista, Stefano Chiarini del Manifesto; quando gli chiedevo “cosa andiamo a fare” lui mi rispondeva “andiamo a vedere”. Così ho imparato ad aspettare e cercare il contatto tra il mondo esterno e il mio mondo interno e a lavorare su ciò che questa relazione suscita.



Forme, colori, luci, movimento. Cosa ti sollecita quando lavori?


Vado a periodi come accade anche agli altri. Nelle foto si possono leggere molte cose sullo stato d’animo del fotografo. Poi c’è il condizionamento commerciale quindi la richiesta di chi ti commissiona una foto. Ad esempio negli anni ’90 c’era una grande richiesta di elaborazioni digitali che sono anche state una grande mia passione per la possibilità che danno di costruire immagini che non esistono nella realtà. Negli ultimi anni ho deciso di rallentare e di ascoltare più me stessa che il mercato. I miei ultimi lavori sono centrati molto sull’ambito sociale.

Quale è stato lo ‘scatto della vita’? Quello di cui ricordi ancora l’emozione?

E’ successo prima di passare al professionismo ed è stato determinante. Durante un viaggio a Zurigo, in una giornata di pioggia e schiarite, ho fotografato sul lago un vecchio e un bambino.





Info: Antonella Di Girolamo fa parte dell’Archivio collettivo fotografico BuenaVista. I suoi lavori sono sul sito http://openversus.photoshelter.com/



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