Patrizia Gabrielli - Il volume ‘Tempio di virilità. L’antifascismo, il genere, la storia’ propone un articolato resoconto sulla storiografia dell’antifascismo e sui caratteri della presenza femminile nel movimento
Lucilla Gigli Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Dicembre 2008
Il volume di Patrizia Gabrielli ‘Tempio di virilità. L’antifascismo, il genere, la storia’ (ed Angeli, pagg 126, euro 14,00) sulla base di un ricco bagaglio di conoscenze approfondite nel corso di anni, propone un articolato resoconto sulla storiografia dell’antifascismo e sui caratteri della presenza femminile nel movimento. Il libro si apre su possibili linee di ricerca e nuove metodologie di indagine per la storia di genere: “Si tratta, insomma, di scoprire gli ingranaggi di quella “fabbrica degli eroi” e “di brave madri di famiglia” al fine di sviscerare in profondità sentimenti, emozioni, scelte senza sottovalutare tessere che possono rappresentare un apporto significativo ai fini di un più completa ricostruzione del mosaico di culture nascosto dall’omologazione imposta dal regime”. L’antifascismo, pur nelle sue diverse matrici politiche, si configura per il suo carattere virile, come spazio, cioè, interdetto alle donne - per riprendere le parole dell’autrice - come “universo al maschile”. Un mondo costellato da eroi che finisce per soffocare i soggetti che lo popolano e per non riconoscere la dimensione quotidiana della cospirazione: “Esaminando lo scenario degli anni settanta, si poteva affermare in sintesi ma senza tradire l’immagine dominante, che la storiografia proponeva un ventaglio di idee, progetti, scale di valori elaborati e realizzati da un universo di uomini, declinava al maschile l’antifascismo tanto da farne un tempio di virilità”. Unico modello femminile di riferimento la rivoluzionaria di professione, Dolores Ibarruri vigorosa e austera, pronta alla rinuncia di sé e della propria sfera affettiva. È nella stessa memorialistica femminile che si impone il modello di perfezione votato alla “dedizione fino all’annullamento di sé” oppure, in alternativa, quello della “moglie e madre”, incarnazione di uno stereotipo tradizionale. Con lo sviluppo della storia delle donne e di genere e con il ricorso da parte della storiografia a nuove tipologie di fonti emergono nel panorama antifascista nuove pratiche e soggetti, si mettono in luce i limiti della dimensione militante e “scleroticamente politica” che aveva dominato questo filone di studi. Uscendo da una visione dell’antifascismo che l’autrice definisce “imbalsamata”, si rompe l’uniformità ed emerge il protagonismo delle donne nella lotta contro il regime: “Se è stato produttivo leggere con uno sguardo diverso biografie e itinerari femminili al fine di sciogliere il deposito di incrostazioni che ne appannavano o nascondevano caratteri e valori - come scrive Patrizia Gabrielli -, un medesimo impegno è da compiersi per gli itinerari maschili se si vogliono sondare le culture e i modelli sostenuti dall’antifascismo, le sue specificità rispetto alla successiva fase della Resistenza che ha visto un profondo rinnovamento storiografico, valutarne i limiti e le contraddizioni”.
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