- “…nelle prossime elezioni bisognerà saper imporre ai partiti piuttosto la qualità che la quantità..”
Giancarla Codrignani Domenica, 27/01/2013 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Gennaio 2013
Ho una certa preoccupazione nel citare i proverbi, perché il contrario di "vita nuova" è "vita vecchia", mentre potrebbe diventare "vita peggio". Ma il pessimismo è un lusso che le donne non si possono permettere e quindi diciamo "vita nuova e vita bella" intanto per la nostra quotidianità personale. Se "partiamo da noi" si fa più solido il terreno su cui poseremo i piedi, per quanto scivoloso e scosceso potrà essere, a partire dalla nostra rivista che fa già parte dell'orizzonte dei sacrifici.
Un articolo del mese scorso (Unità, 2 dicembre) si intitolava "La donne: cercano lavoro e diventano capifamiglia" e raccontava una vecchia storia. Vecchissima. Quando i mariti perdono ore di lavoro o addirittura il posto, le donne si rimboccano le maniche: nessuna di noi ha bisogno dell'Istat per saperlo. Che la causa sia la guerra o la crisi - che è una forma di guerra con altre armi - si dà, però, il caso che le donne si confermano soggetti "deboli" per convenzione sociale e trovano solo lavori di risulta nelle emergenze. Durante le prima guerra mondiale entrarono in fabbrica al posto del soldati: si tagliarono le trecce, eliminarono i busti e le sottanone e si trovarono un fidanzato senza autorizzazione dei genitori, poi finirono come sappiamo con il ritorno dei reduci e l'insignificanza politica delle loro persone, simbolo non ultimo di come può decadere la democrazia senza donne. Oggi le reazioni sono diverse: al Nord la perdita del part-time, la diminuzione dei servizi, l'insostenibilità della retta degli asili e il costo delle badanti hanno comportato troppi rientri nel ruolo familiare (l'ammortizzatore sociale deviato), mentre al Sud, dove tanto i servizi non ci sono e i mariti disoccupati non hanno alternative, le donne sono obbligate a trovare una via d'uscita all'assenza di risorse di sopravvivenza e fanno saltare gli stereotipi dell'uomo-padrone "perché porta i soldi in casa". E speriamo che ciò non causi reazioni violente del disoccupato che cucina per una moglie che mantiene la famiglia.
Le italiane non hanno il velo né le leggi della sharia, ma possono diventare invisibili: il mercato del lavoro sembra una piazza Tarir dove le donne sono mute. Gli anni di femminismo senza aver fatto analisi e teorie sui temi del lavoro e della famiglia si pagano: oggi il sistema usa proprio lavoro e famiglia per condizionare il nuovo processo produttivo e per comprimere diritti dati per acquisiti (anche dai sindacati) e per reinventare quel ruolo femminile che tanto piace agli uomini e che faceva chiedere già alle donne del XVII secolo perché mai gli uomini nascano tutti liberi e le donne tutte schiave.
Due sono i connotati essenziali della resistenza (il 2013 sarà proprio un anno resistenziale): non cedere a rassegnazioni ed egoismi e considerare la globalità della situazione femminile. La frammentazione è già grave quando spacca le parti politiche, ma, se diventa sociale, comporta dispersione e perdita; le donne rischieranno sul terreno del - figuriamoci - 50/50 nelle prossime elezioni e bisognerà saper imporre ai partiti piuttosto la qualità che la quantità. L'universalità dei diritti va ribadita ancor più fortemente quando proprio i diritti sono in pericolo: per le donne significa collegare fra loro le volontà di affermazione di tutte le generazioni e di tutte le differenze (immigrate, casalinghe, rampanti, cattoliche, pasionarie..) coinvolgendo le loro specifiche, diverse esigenze.
Non ci sarà grande accoglienza per una politica dei due generi: ci raccontano i benefici che ricaverebbe il Pil se aumentasse il lavoro femminile, ma non si vede alcuna progettazione in campo. Siamo state sui giornali per i maltrattamenti e i femmicidi, ma non si applica la convenzione di Istanbul: qualche ingiustizia di genere bisognerà portarla all'Alta Corte di giustizia europea.
Infatti, soprattutto l' "ostinazione di genere" che perseveri nel riconoscimento della dignità del proprio sapere e potere può fare della crisi un percorso che trovi all'uscita il mondo migliorato perché ha respinto la violenza.
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