- Le crisi sono grandi opportunità perché segnano sempre un passaggio, verso il meglio o il peggio. Dipende da come si reagisce
Giancarla Codrignani Domenica, 28/12/2014 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Gennaio 2015
Facciamoci subito gli auguri per un buon 2015. Per amicizia, non per scaramanzia. Anche se….Dire "duemilaquindici" significa che il famoso terzo millennio è già ben inoltrato. Che se ne vedano effetti "consapevoli" non direi. Speriamo, dunque, che il prossimo sia più gentile e non ci faccia temere ogni giorno il "sempre peggio". Il pensiero dei "politici che rubano" e del "sono tutti uguali", a cui si è aggiunto il più originale "ed io non vado a votare" sembra far dimenticare la crisi. Che, invece, c'è, eccome! ed è responsabile delle nostre rabbie.
Il Papa a Strasburgo a novembre aveva detto che i governi si dovrebbero vergognare di perseguire politiche ingiuste e tutti i rappresentanti presenti avevano applaudito, cosa di cui noi ci siamo molto arrabbiati. Ma anche questa contraddizione si spiega con la crisi.
La crisi è, infatti, come la peste: ricorrente, ma alcune pestilenze fanno storia, come dicevano i "promessi sposi". Uguali le crisi: il 1929, dopo disoccupazione, suicidi e file per ritirare in banca soldi che non c'erano più, si esaurì con la Seconda Guerra mondiale. Quella attuale, iniziata nel 2008, sta dentro globalizzazione e nuove tecnologie dietro le quali il mondo dei "soldi", cioè la peste, ha ridotto l'economia a finanza, producendo denaro e titoli artefatti scambiati sul web a milioni di dollari, euro o yuan ogni giorno. L'intreccio è complesso: multinazionali, banche, assicurazioni, mafie governano il mondo e condizionano i governi. Per questo i governanti vorrebbero essere d'accordo con il Papa, ma non sono più loro a governare.
Tanto meno il governo italiano. Ma da noi la situazione si è complicata per ragioni nostre. Se Papa Francesco ha anche detto che siamo già dentro, per frammenti, alla terza guerra mondiale, si imporrà qualche cautela: il "tutti ladri" l'Europa lo riferisce a tutti quanti noi: purtroppo gli scandali riguardano politici e parlamentari, ma anche dirigenza statale, funzionari, imprenditori, trafficanti con laurea, loschi figuri e mafie ormai presenti anche nel "terzo settore" come nella pizzeria sotto casa (a Bologna il 5% dei negozianti paga il pizzo). Ma molte di più sono le persone cosiddette perbene che non pagano le tasse. Se quando votavamo abbiamo lasciato che i controllati facessero i controllori, siamo come i governanti che vorrebbero fare meglio ma non possono. E così ce la prendiamo con gli zingari e i rifugiati (destinati a crescere in un mondo in guerra). Certo, anche i francesi sono in crisi come noi (con meno corruzione): votando la signora Le Pen o non andando a votare, rivelano di non sapere come finì la crisi del '29.
Eppure le crisi - non scherzo - sono grandi opportunità, perché segnano sempre un passaggio: al meglio o al peggio dipenderà da come si reagisce. Le donne hanno nel Dna la conoscenza della violenza, quella che induce al femminicidio ed è la stessa che ai maschi fa amare la guerra. Amiche nostre in Iraq, Palestina o Siria piangono la casa distrutta, ma prima di sera debbono dar da mangiare ai bambini e cercare dove metterli a dormire. Le nostre madri e nonne facevano lo stesso dopo i bombardamenti; dopo la Resistenza hanno sperimentato la fatica di ricostruire. Il 2015 sarà un anno di grandi celebrazioni del 70° della Liberazione: ormai è solo memoria che apre a ri-pensare il termine "resistenza". Se il fascismo ottenne consenso quando la "crisi" del primo dopoguerra fece crollare l'occupazione (primi furono i licenziamenti delle donne appena entrate nelle fabbriche), alimentò la rabbia, gli scioperi, la violenza contro le istituzioni fu perché nessuno, nemmeno le donne, seppe "prevenire". Mussolini diede per primo il voto amministrativo alle donne; ma abolì subito i sindaci e nominò i podestà. E il voto venne sostanzialmente soppresso.
Nella crisi attuale domina la corruzione. Nelle carte non sono comparsi nomi di donna. Non perché siamo migliori, ma perché non gestiamo alcun potere; le complici "non contano proprio", sono serve. Potremo criticare il potere finché non ci omologheremo. Se si vorrà uscire da una crisi fallimentare, sarà difficile farlo senza le donne; ma ancor più difficile sarà persuadere gli uomini a investire in una politica almeno "dei due generi". Eppure così si riuscirebbe a prevenire qualche guaio. Il 2015 avrà bisogno comunque di nuova partecipazione; secondo noi bisognerà incominciare dal domandarsi che cosa debba essere il potere. Che è il tema su cui noi donne ci giocheremo il futuro, a beneficio non solo nostro, ma di tutti.
Berlinguer per le elezioni del 1983 lasciò stupefatta Adriana Seroni confidando - lo dice Chiara Valentini su testimonianza di Giglia Tedesco - che, dopo aver saputo che le donne rifiutavano di partecipare alle liste a causa del disvalore in cui si trovavano nel partito, stava pensando a un gruppo parlamentare femminile di indipendenti. Uno che aveva sostenuto che "non può essere libero un uomo che opprime una donna", aveva incominciato a capire che "donne" può voler dire una cultura inesplorata, idee nuove, competenze ancora inedite "di genere". Ci ricordiamo di quando sostenevamo che il part-time era una risorsa? Peccato non averne tratto conseguenze innovative per il lavoro, che ormai non sarà mai più quello di prima.
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