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Animalismo e vegetarismo. Che cosa, chi (non) mangiamo oggi?

Animalismo e vegetarismo. Che cosa, chi (non) mangiamo oggi?

Parliamo di bioetica - Nella società italiana si sta diffondendo un vegetarismo non organizzato, non ufficializzato e che non aderisce ad associazioni

Anna Mannucci Domenica, 28/12/2014 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Gennaio 2015

Etica e alimentazione

Nel 1975 venne pubblicata la prima edizione di Animal Liberation: A New Ethics for our Treatment of Animals, New York: New York review/Random House, del filosofo e bioeticista australiano Peter Singer, poi definito "la Bibbia del movimento animalista mondiale" (in realtà, del mondo anglofono). Il libro era (ed è) un trattato di filosofia utilitarista, ma nello stesso tempo conteneva indagini sul campo e dati precisi sulle situazioni concrete degli animali nei luoghi di maggior sfruttamento, soprattutto gli allevamenti intensivi, e si concludeva con un'appendice di ricette vegetariane, una vera novità. Animal liberation segnò una nuova fase del movimento per gli animali (Singer non usa mai il termine diritti, essendo un utilitarista non crede nei diritti). Uno spostamento fondamentale: l'attenzione passava dagli animali da compagnia (cani, cavalli e secondariamente gatti), agli animali da reddito, miliardi di animali (e il numero, la quantità, da un punto di vista utilitarista è importante) - mucche, vitelli, maiali, galline, tacchini e molti altri - allevati e uccisi in modo intensivo nelle Factory Farm, fattorie industriali, con modalità da catena di montaggio. In Italia questo libro fu tradotto da Mondadori solo nel 1991 e non ebbe l'impatto dell'originale.



Il fiorire dell'animalismo e del vegetarismo in Italia

Però, da Animal Liberation in poi - in Italia appunto a partire dagli anni '90 - il tema della scelta alimentare pian piano è diventato importante e in alcuni casi centrale nel discorso animalista. Nel 2002 nasce oltrelaspecie, www.oltrelaspecie.org, associazione antispecista,' assolutamente vegana, che organizza regolarmente conferenze, cene e festival vegani. Da allora, via via i vegani aumenteranno. 1 vegani rifiutano ogni prodotto di origine animale, compresi, per esempio, miele e lana, e sono contrari alla lotta per il miglioramento delle condizioni di detenzione degli animali. Per loro, bisogna arrivare alla fine di ogni allevamento e, a lungo termine, alla fine degli animali domestici, compresi quelli da compagnia.

I libri su questi temi sono innumerevoli, ne citiamo soltanto due: Come mangiamo. Le conseguenze etiche delle nostre scelte alimentari, di Peter Singer e Jim Mason (Il Saggiatore, 2007) e Se niente importa. Perché mangiamo animali? di Jonathan Safran Foer (Guanda,2010). Come dice chiaramente il titolo del primo, decidere che cosa mangiare è una scelta morale, perché coinvolge la vita e la morte di altri esseri senzienti. Se niente importa è stato un libro di grande successo anche presso il grande pubblico, data la notorietà dell'autore, pure in Italia. Questi testi pongono il problema etico senza dare prescrizioni né obblighi vegetariani o vegani, gli autori si augurano almeno la riduzione dei consumi di prodotti di origine animale; un'impostazione riformista che in Italia non è molto accettata dagli animalisti duri e puri.

Altri esempi del crescere della sensibilità verso gli animali: la casa editrice Sonda pubblica regolarmente libri dedicati alla cucina vegan, sempre definita etica, proprio per mettere in evidenza l'origine morale di questa scelta, anche se poi si finisce sempre per lodarne le qualità salutistiche e ambientali e benefiche per il cosiddetto terzo mondo. Nel 2013, in una grande catena di supermercati italiani è comparso lo scaffale vegan, con seitan, tofu, soia, in varie forme e preparazioni (prima, questi prodotti erano presenti, ma in quantità minore e dispersi in vari scaffali). Più in generale, nella società italiana si sta diffondendo un vegetarismo non organizzato, non ufficializzato, di persone non iscritte ad associazioni, basato sull'empatia verso gli animali e che di solito parte dal rapporto affettivo con un animale da compagnia.



Expo 2015 senza animali?


Tutto questo, però, non compare nel discorso pubblico, ufficiale. Un esempio clamoroso è Expo2015 (www.expo2015.org), esposizione universale che si terrà a Milano appunto nel 2015, il cui tema è Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita. Nelle presentazioni ufficiali e negli innumerevoli eventi collegati a questa iniziativa, convegni, incontri, feste, seminari, iniziati già nella primavera del 2014, non compiono gli animali. Persino la sua mascotte, Foody, è un personaggio in stile Arcimboldo composto soltanto da vegetali, otto verdure e tre frutti, insomma è vegan. Eppure è ovvio che il cibo quotidiano della maggioranza della popolazione umana mondiale - i 7 miliardi di invitati di uno degli slogan di Expo2015 - è basato sugli animali: carne (manzi, vitelli, maiali, polli, tacchini, conigli e altri ancora), pesci, uova, latte, formaggio. Per non dire della trazione animale, tuttora esistente in molte parti del pianeta, anche in relazione all'agricoltura e dunque alla produzione di cibo. Ma questa costante presenza degli animali, da vivi e da morti, nella vita e nelle società umane (sul fatto che la specie umana e la sua storia sono basate sugli animali, v. Alfred W. Crosby, Imperialismo ecologico, Laterza, 1986, Jared Diamond Il terzo scimpanzé, Bollati Boringhieri 1994) viene taciuta, dimenticata, annullata, rimossa. Rimozione è probabilmente la parola più adatta. Vengono ignorati anche i vegetariani e i vegani, ma questo sarebbe secondario, se non indicasse, di nuovo, la rimozione del tema. Il corpo degli animali, i corpi degli animali sfruttati e uccisi, sono ignorati, occultati dalle retoriche pubbliche. A livello mondiale, si tratta di miliardi di individui ammazzati ogni anno, difficili da contare anche a tonnellate. Individui senzienti, in grado di provare dolore o piacere, capaci di sentimenti e di scelte morali, qualità di cui si stanno rendendo conto persino gli etologi ufficiali.

Che cosa pensare di questo occultamento? Forse indica un senso di colpa sociale non riconosciuto.





 

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