Intervista a Renata Polverini - L'UGL fa un grande passo avanti e si affida all'esperienza di una donna
Ornella Petillo Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Marzo 2006
La prima donna, e per di più giovane, eletta alla guida di una confederazione sindacale. Le idee e i pensieri di Renata Polverini e dell'UGL in questa intervista.
Come si sente?
Emozionata, motivata e fiera della scelta di grande coraggio e di grande maturità che la mia organizzazione ha voluto fare ponendomi al vertice dell’UGL. Sono grata ai delegati che mi hanno sostenuto e naturalmente porto con me un rinnovato e, allo stesso tempo gravoso, senso di responsabilità. Non solo verso una struttura che in questi anni è cresciuta e che si è fatta giustamente travolgere dall’entusiasmo che ha caratterizzato il congresso di febbraio, ma anche verso quanti, dall’esterno, hanno apprezzato questa decisione e ora si aspettano che l’UGL prosegua sulla strada del cambiamento: con tenacia, senza mai troppa fretta, abbiamo costruito un percorso che oggi ci vede al fianco delle altre confederazioni sindacali. Il cammino è ancora lungo ma non ci spaventa.
Quando inizia la sua passione per il sindacato?
È come se ci fossi cresciuta all’interno del sindacato, una tradizione di famiglia. Ero ancora bambina quando accompagnavo mia madre, sindacalista Cisnal del Gruppo Rinascente, alle riunioni sindacali. Lavorava, le assemblee si facevano la sera ed io ero lì con lei, ad ascoltare, osservare, imparare. La prima vera esperienza sindacale è arrivata dopo le scuole alla federazione degli agricoli, poi è iniziata la mia avventura confederale nella Cisnal: piccole cose all’inizio, poi col tempo sono arrivati incarichi sempre di maggiore responsabilità fino alla nomina, nel 1999, di vicesegretario generale. E oggi segretario generale. Sono oltre venti gli anni di impegno per la mia organizzazione e con la quale è bello oggi condividere un passaggio importante che pone finalmente l’UGL al centro dell’attenzione del mondo sindacale, sociale ed economico.
Il sistema sindacale italiano è da sempre inquadrato in schemi piuttosto rigidi e che, pevalentemente, si orientano su forme di gestione e organizzazione pensate al maschile. Con quali umori la pancia del sindacato ha affrontato questa svolta al femminile che ha di fatto spiazzato anche le altre organizzazioni?
Il congresso confederale di febbraio è stato il punto di arrivo di un percorso durato mesi nel corso del quale si sono riuniti i congressi a livello locale. Ho partecipato a tutte quelle assemblee e col passare del tempo ho potuto registrare il pieno sostegno alla scelta che l’organizzazione si accingeva a fare, un consenso alla mia persona, non alla donna, ma alla sindacalista, al lavoro e ai risultati raggiunti in tutti questi anni. Credo di poter affermare senza presunzione, che questa elezione sia stata principalmente il frutto dell’impegno, del lavoro, del tempo pressoché totale che in questi anni ho dedicato all’Ugl contribuendo alla sua crescita. Il fatto di essere donna offre un valore aggiunto e garantisce all’UGL un primato che nessuno potrà toglierle: il sindacato ha saputo dare una grande lezione di democrazia e di coraggio anche alla politica. Quando sono stata eletta una collega di un altro sindacato mi ha mandato un messaggio che diceva “sei la nostra quota rosa più riuscita” a dimostrazione che non serve una legge per incoraggiare le donne ma solo la volontà di farlo. La solidarietà e il sostegno autentico che ho ricevuto anche dalle altre donne, sindacaliste e non, è stato poi un altro segnale significativo di come le donne siano davvero pronte a dimostrare le proprie capacità di comando. Oggi sappiamo fare squadra.
Come si pone l’UGL di fronte all’affermarsi del modello flessibile del lavoro?
L’UGL ha, in tempi non sospetti, manifestato le proprie perplessità di fronte ad un provvedimento, la legge Biagi, che si proponeva di portare la flessibilità in Italia, sul modello di altre realtà europee, ma che di fatto si è trovata sprovvista di una necessaria cornice di tutele e ha finito per tradursi solo in un aumento della precarietà, soprattutto, torno a ripeterlo, tra i giovani. Il risultato è che il lavoratore cosiddetto flessibile non trova concrete opportunità di crescita nel mondo del lavoro e se perde il posto di lavoro con grande difficoltà riesce a trovarne un altro. La sfida di tutto il sindacato è quella di recuperare queste tutele. Occorre potenziare lo Statuto dei lavoratori e riprendere un dialogo costruttivo con il governo e le altre parti sociali per eliminare tutti gli elementi di precarizzazione del lavoro, non certo la flessibilità, e procedere ad un serio ammodernamento del sistema degli ammortizzatori sociali.
Come vi ponete su questi temi nei confronti delle altre organizzazioni sindacali?
Sulle grandi questioni come il lavoro e la difesa dei diritti di lavoratori, è prevalsa, in questi anni, una linea di unità che ha saputo portare a dei risultati. Esistono, è indubbio, differenze nell’approccio al tema della contrattazione tra le diverse organizzazioni sindacali, ma c’è certamente un giudizio unanime sull’insostenibilità di un sistema che finora non ha raggiunto gli obiettivi che si era posto in chiave di certezza del lavoro e dei suoi diritti.
Qual è, in particolare, l’impatto sulle donne della flessibilità introdotta nel mondo del lavoro?
Al pari degli uomini, si traduce in un permanente stato di incertezza aggravato però da alcune condizioni che penalizzano ancora oggi la donna: se una donna decide di sposarsi e avere una famiglia e ancora di più se decide di fare un figlio, deve fare i conti con un sistema ancora fragile sotto molteplici punti di vista. Il part-time in Italia non è ancora realmente decollato, il sistema dei congedi parentali ha dimostrato i suoi limiti, la rete di servizi a sostegno delle donne che lavorano è ancora lontana dai livelli di efficienza che servirebbero per poter conciliare i tempi del lavoro con quelli della famiglia. Sono ancora troppe le donne che alla nascita del primo figlio, o anche semplicemente dopo il matrimonio, decidono di lasciare la propria occupazione. Ma questo sposta il discorso su un ambito più generale che dovrebbe vedere lo Stato maggiormente attivo sulle politiche di sostegno alla famiglia e non solo alla donna. In questo quadro, ad esempio, l’introduzione del ‘quoziente famigliare’ resta per noi un obiettivo imprescindibile.
(19 marzo 2006)
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