Intervista/ Emma Bonino - Per la sua pluriennale esperienza di politica internazionale, Emma Bonino è stata nominata dal governo nel gruppo dei garanti
Bartolini Tiziana Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Febbraio 2005
“In una catastrofe di queste proporzioni occorre distinguere due fasi per gli aiuti umanitari: c’è l’urgenza degli interventi immediati e successivamente c’è la fase della ricostruzione che si interseca con la prima anche con frequenti contiguità”. Emma Bonino, dopo il maremoto che ha colpito i Paesi del sud est asiatico è stata recentemente nominata dal governo italiano nel gruppo del comitato dei garanti insieme a Giulio Andreotti, Andrea Monorchio, Giorgio Napoletano e Giuliano Amato, e avrà modo di porre in questo compito tutta la sua pluriennale esperienza svolta a livello politico internazionale. “La prima fase è di possibile confusione. Soprattutto nei primi giorni sono possibili le duplicazioni e nella situazione specifica oggettive difficoltà ci sono anche rispetto alle ridotte infrastrutture: nello Sri Lanka, ad esempio, c’è un solo aeroporto, a Colombo. Le organizzazioni presenti sono senza dubbio avvantaggiate da una preesistente rete. Nel sud-est asiatico occorre tenere costantemente presente che si tratta di Paesi lontani, poco conosciuti e che vivono anche notevoli tensioni interne. Le necessità che si manifestano in situazioni così pesanti sono spesso confliggenti: occorre fare in fretta e non c’è il tempo di fare screening per avere certezze sulla provenienza di autisti o delle guide, così il rischio di intercettare soggetti che magari hanno contatti con i ribelli è alto. Però o si fanno controlli accurati o si interviene con urgenza. Ora la prima fase, quella in cui bisognava curare i superstiti ed evitare le epidemie, è probabilmente superata. Il lavoro che aspetta quei Paesi è di enormi proporzioni e lo sforzo che occorre, date le dimensioni del disastro, è mastodontico per l’estensione territoriale che ha interessato lo tsunami e per le situazioni politiche molto diverse che caratterizzano le varie nazioni colpite. Ad esempio a Banda Aceh c’è la legge marziale, nessun occidentale ci mette piede da alcuni anni. Il lato positivo di questi primi giorni è che l’emozione è stata tale da far sopire, almeno momentaneamente, i problemi politici. Dobbiamo avere chiaro che non si tratta solo di ricostruire una zona che ha delle belle spiagge. Si tratta, più concretamente, di ricostruire in contesti che presentano delle fragilità sul fronte delle regole della democrazia e accanto alla ricostruzione delle case e degli uffici occorre avere cura che la ricostruzione sia anche occasione di rafforzamento e consolidamento del tessuto democratico”. Venendo al ruolo, delicato di comitato dei garanti che vi è stato affidato dal governo, come opererete? ”Noi non abbiamo nessun altra responsabilità che gestire i soldi raccolti con le sottoscrizioni lanciate nei giorni immediatamente successivi allo tsunami. Alla prima riunione del 10 gennaio le disponibilità verificate ammontavano a 42.535.255 milioni di Euro, cifra raggiunta sommando le donazioni giunte all’iniziativa promossa da la Repubblica – Espresso e Unicef, con gli sms arrivati ai quattro gestori di telefonia mobile, con le carte di credito che hanno fatto riferimento al TG e Corriere della Sera e con le raccolte di una serie di istituzione private. Questo importo rappresenta un millesimo di quanto donato a livello mondiale e noi siamo supervisori della correttezza dell’impiego della somma. Non abbiamo responsabilità, invece, per lo stanziamento del governo. Per dare un’idea delle possibilità concrete di intervento che si possono effettuare con questo importo occorre spiegare che, a partire dalla prima fase, la Protezione Civile aveva già stabilito una serie di postazioni d’urgenza in Sri Lanka nel nord est Tamil a Trincomalee e una a sud a Galle e Matara, agglomerati abbastanza simili. Nelle prossime riunioni esamineremo i costi della gestione e del mantenimento delle due postazioni di queste strutture per un anno, con il rimanente della cifra a disposizione decideremo di sostenere alcuni progetti in modo mirato, organico e completo. Individuando soggetti e strutture, faremo in modo di coprire i costi completi di gestione, di assistenza e sussistenza”. Quindi le donazioni degli italiani saranno davvero utili alle popolazioni colpite dall’onda? “Faremo in modo di ben utilizzare i fondi, ma bisogna avere consapevolezza che si tratterà di interventi limitati e focalizzati, visibili e quindi controllabili, ma non saranno interventi risolutori. Saranno una goccia in un mare di bisogni perché le proporzioni dei danni e l’estensione delle zone interessate è davvero enorme. Il ruolo fondamentale per il ritorno alla normalità lo avranno i governi locali, cui spetta il compito di programmare la ricostruzione delle infrastrutture, completamente devastate o del tutto spazzate via. I nostri aiuti e quelli di proporzioni analoghe avranno efficacia se si inseriranno in contesti in cui saranno portate le reti dei servizi, le strade. I governi devono stabilire le priorità della ricostruzione”. Quali sono gli interessi reali delle nazioni che hanno dato disponibilità ad inviare aiuti umanitari? “Certo che le potenze che si sono inserite negli aiuti hanno interessi. E’ sempre stato così, non c’è niente di nuovo in questo. Si tratta di saper governare questi interessi. Conoscerli e saperli controllare. Il modello di riferimento può essere quanto avvenuto a seguito dell’uragano Mitch, che ha visto una grande mobilitazione. Nei Paesi del sud est asiatico le differenze sono molte e bisogna tenerle presenti. Ad esempio l’Indonesia, dove le votazioni si sono svolte ad ottobre il governo è ancora piuttosto giovane, si sente molto ferita da una interferenza pesantissima che ha portato alla perdita di Timor e oggi è preoccupata di perdere Bandar e nel frattempo ha mandato altri 50.000 militari ad accompagnare gli aiuti. La Thailandia, che ci sembra più pacifica, vede in realtà una presenza molto forte di indipendentisti, con tensioni notevoli. Insomma in quella parte del mondo è tutto molto complicato e bisogna tenerlo presente nella gestione degli aiuti e della ricostruzione”. E la ‘vecchia Europa’, che ruolo può svolgere? “Non si sa, ad oggi, se il governo italiano voglia operare con accordi bilaterali o in che altro modo e non è chiaro neppure come si voglia posizionare l’Europa. Quello che mi sembrerebbe incomprensibile sarebbero interventi isolati dei vari Paesi membri. Sarebbe invece ragionevole costituire un fondo europeo ed individuare un inviato speciale. Sarebbe stupefacente che l’Europa rinunciasse ad avere un ruolo definito e autorevole. Purtroppo va registrato che già alle prime battute all’incontro di Giakarta l’Europa non era presente”. Da più parti, soprattutto a livello privato e di comunità, si sente il bisogno di organizzare interventi anche diretti, ma come orientarsi? “L’entità della ricostruzione è incredibilmente vasta e, anche a voler immaginare dei gemellaggi con villaggi o iniziative simili risulterebbe difficile organizzare gli aiuti se qualcuno non provvede a fare le strade, a portare l’acqua ecc. Come si fa a raggiungere le zone più disagiate? Insomma non si può prescindere dai grandi interventi di contesto che richiedono coordinamento ed esperienza”. Intanto si dice che si può continuare ad andare in vacanza in quei luoghi. Lei che ne pensa? “Dove è possibile perché no? E’ un modo sicuro di rimettere in moto l’economia e dare la possibilità di lavorare alle persone e di provvedere, per quello che possono, a contribuire fattivamente alla ricostruzione”. Una battuta sui referendum è difficile non strapparla. “La bocciatura del referendum complessivo è stata di natura politica, ma siccome bisogna fare di necessità virtù oggi difendiamo i quattro da pasticci parlamentari e puntiamo ad ottenere una data (che sia nell’anno scolastico in corso) che favorisca il voto”. I radicali in rapporto al centrodestra e al centrosinistra? “Quella della legge sulla fecondazione assistita, come ha sostenuto lo stesso Turci quando raccoglievamo le firme, non è né di destra né di sinistra, ma è una questione di libertà. E io concordo”.
Lascia un Commento