"Le dee del miele" di Emma Fenu. Recensione di Maria Antonietta Macciocu
Una saga familiare al femminile, ambientata, nel corso del Novecento, in una Sardegna intrisa di mito e memoria, dove spiriti, fate, folletti e vivi convivono sotto la Luna.
Emma Fenu, "Le dee del miele", Milena Edizioni, 2016.
Il primo merito del libro di Emma Fenu è di essere anomalo, di non uniformarsi alla moda corrente di storie di facile lettura, esili e lineari. La scrittrice entra a gamba tesa in un'impostazione solo apparentemente cronologica della vita di tre generazioni di donne, piegando il racconto dal di dentro, con passati e futuri che si intrufolano e costringono a fermarsi, a chiedersi cosa stia succedendo, cosa si è trascurato del passato, come si è già entrati nel futuro. Con osservazioni da narratrice onnisciente che queste donne le sente sue e ce le restituisce non solo nella concretezza dei fatti giornalieri, ma soprattutto in quel loro modo particolare di mettersi in contatto con l'Universo, noto e ignoto, pronte a carpirne e restituirne i segreti.
Anomalo anche l'utilizzo della saga, che più che serie di eventi è modalità con cui gli eventi si affrontano nel tempo, in una terra che trasuda di rituali, credenze, malocchi, santi e demoni, fate e streghe, morti e vivi che interagiscono, religione e paganesimo, sessualità e repressione. Le donne, come il miele nutrimento per eccellenza, cibano i figli, gli uomini, il mondo intorno di saperi appresi e tramandati dalla notte dei tempi, li usano ma soprattutto li raccontano, perché la razionalità non uccida l'empirismo,che è capacità di vedere al di là di ciò che si tocca, entrando nel cuore profondo delle cose. Solo a loro, in bilico tra la vita e la morte nel loro destino di partorire, tocca questo peso e questo onore, che agli uomini, anche i migliori, sarà sempre precluso. Se ne accorgerà il padre di Lisetta, che perderà la sposa per non aver creduto al suo presentimento di morte e non aver chiamato in tempo il dottore. I presentimenti, i sogni rivelatori, non sono cosa da uomini.
Le donne di Emma si muovono in un mondo ristretto riuscendo a dilatarlo, a piegarlo anche quando ne sono oppresse. Sintomatici i murales di sangue mestruale spalmato sulle mattonelle del bagno dalle ragazze represse dalle suore, ad affermare il loro essere donne nonostante gli si voglia negare la sessualità. È la parte del collegio, la più bella, quella dove storie ed emozioni si fondono con armonia, forse perché quanto si vuole sopprimere esplode con segni inusuali, e quindi molto più sensuali e toccanti di quelli comuni.
Ad una materia così densa corrisponde una lingua altrettanto densa, ricca, preziosa, del tutto sorda ai minimalismo linguistico in voga. Una lingua che qualche volta rischia di crogiolarsi nel preziosismo, ma che investe le cose dando loro uno spessore che le sottrae al tempo, consegnandole al mito e alla poesia.
Sono sarda e sono cresciuta anch'io tra tante di quelle credenze e tradizioni, che ora i miei figli non conoscono, perché si sono perdute nelle esigenze della modernità televisiva, che ha soppiantato il racconto orale, in campagna come in città.
Che una giovane donna le voglia rubare al silenzio e restituircele attraverso la parola scritta, per sua natura eterna, mi commuove e mi fa sentire riconoscente.
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