Teatro/ Intervista a Maria Merelli - Il grande potere di civilizzazione e di umanizzazione del teatro, nell’incontro con la sociologa Maria Merelli
Giulia Salvagni Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Gennaio 2005
Tra i migliori spettacoli di prosa italiani di quest’anno figurano quelli prodotti dalla Fondazione Emilia Romagna Teatri. Sono tanti i nomi noti nel cartellone dello Storchi di Modena, dove tra il pubblico ed il loro teatro sta crescendo un rapporto molto interessante. Non è cosa di oggi perché la Fondazione lavora da anni in questa direzione ed ha costituito un grande circuito nella regione che gestisce ben 14 teatri. Loro ultimo successo è stata la produzione dello spettacolo di Pippo Del Bono con Giovanna Marini e Umberto Orsini, Urlo. Già rappresentato ad Festival di Avignone in luglio, poi al Teatro Argentina di Roma, Urlo è un grido di collera nei confronti dei potenti, ma anche un grido d'amore lanciato alla terra.
Quanti sponsor vi sostengono?
Non parlerei di sponsor, perché quelli sponsorizzano un evento o uno spettacolo. Nel nostro caso è più esatto parlare di soci che, a seconda dell’entità del contributo, si dividono in fondatori (Regione, Provincia, e comuni di Modena e Cesena), soci ordinari sostenitori, soci appartenenti all’albo speciale.
C’è competizione tra la vostra attività teatrale e l’offerta cinematografica e televisiva di oggi?
Se si parla di competizione, questa può esserci con il cinema, che è economicamente più fruibile ed ha un linguaggio più immediato, al quale le persone sono più abituate. Con la televisione no di certo. Anzi, sento che oggi il teatro stia conoscendo una rivalutazione proprio perché è uno spettacolo dal vivo. Non riprodotto, non seriale, non sguaiato, non così mercificato come invece è la televisione. In giro c’è molto desiderio di teatro, e non vorrei limitarmi al genere serio, perché c’è anche la satira, il grottesco, pensi a Paolini o ad Ascanio Celestini.
Lei è sociologa. Come vede l’effetto del linguaggio artistico nel tessuto sociale in cui operate?
È necessario che un teatro come il nostro riesca a parlare a diversi pubblici, deve poter raggiungere diversi segmenti di gusto e di preparazione culturale. E deve poter avere una relazione privilegiata con i pubblici in formazione, cioè i giovani. Deve poter rispondere alle loro aspettative trovando delle soluzioni efficaci, sempre mantenendo un livello elevato di qualità e di spessore artistico.
Quindi, in prospettiva, il vostro è un lavoro su tempi lunghi.
Mi interessa molto il tempo. Lavoro da 15 anni - come assistenza ai comuni, nella progettazione del cambiamento di orari etc… - sul tema dei tempi nella città. Sulla tematica dell’uso del tempo partendo dalle vite femminili fino al tempo urbano e alla sua organizzazione sociale, ed ai tempi sociali che interagiscono con i tempi individuali. Mi interessa la liberazione del tempo perché questo venga riempito da momenti di carattere culturale qualitativo. La nostra battaglia di questi anni è stata svolta affinché i tempi sociali e individuali diventino a misura di una vita ricca di qualità. Tradotto in campo teatrale, vorrei riuscire a coinvolgere più persone, sapendo che tante fasce di pubblico, le madri e i padri con i bambini piccoli, non possono venire a teatro per via dei loro obblighi lavorativi e familiari. Non per niente oggi i grandi consumatori di teatro sono un segmento alto, dai 50 anni in su, dove prevale l’elemento femminile (si è visto che tutti i teatri italiani hanno pubblici con queste caratteristiche). È un ceto medio impiegatizio che può permettersi un abbonamento. Poi c’è il pubblico giovane, che va dai 25 ai 35 anni, molto desideroso di novità, molto curioso, affascinato da commistioni di linguaggi nuovi dove c’è attenzione ai grandi temi della contemporaneità.
A Sarajevo, subito dopo la guerra, alcuni ragazzi mi raccontarono di come i loro amici più deboli emotivamente, quindi facili prede di propagande, accettarono di fare i cecchini. In quelle situazioni ci si rende conto di quanto la cultura possa essere una potente arma contro la guerra. La propaganda non attecchisce su menti mature, che hanno sviluppato un’autonoma capacità critica sulle cose. Il teatro può indurre a questo genere di maturazione e di riflessione?
Moltissimo. Penso che il teatro abbia grosse potenzialità proprio per la sua capacità di entrare in contatto con i sentimenti in modo profondo e anche di veicolare le idee in modo diretto, non solo attraverso la voce ma anche attraverso il corpo. Mi ricordo, in questo, di essere donna e di sapere quanto il corpo possa essere veicolo di sentimenti, di emozioni profonde. E nel teatro è quello il recettore primo. Poi arrivano anche le idee, ma prima arriva il fattore emozionale profondo. Penso che il teatro proprio per questa sua capacità - e non lo dico io, mi viene in mente la frase di quel regista russo, Dodin, che parla della profonda emotività umana - abbia questa funzione che dice lei. Non per niente lo spettacolo di Pippo del Bono, Guerra, parla di tutte le guerre, di quanto può accadere ovunque e all’improvviso. Lo realizzò appena tornato da Sarajevo. Quella visita fu molto toccante anche per lui. Stiamo realizzando un progetto in Albania, nell’ambito della cooperazione internazionale su sollecitazione della Regione Emilia Romagna, e da quest’anno anche in Bosnia Erzegovina e in Serbia. Si tratta di restaurare un teatro, reimpiantare le competenze tecniche per la gestione, lavorare con attori italiani e del posto, riuscire ad avere il teatro pieno di pubblico, creare contatti con le diverse realtà del luogo. Abbiamo lavorato con dei ragazzi di un orfanotrofio di un quartiere molto degradato di Belgrado. Questo è per dire che io credo totalmente alla funzione di civiltà e di umanizzazione, di cui il teatro è portatore. Ed è proprio questa la parte alla quale tengo di più.
Lascia un Commento