Michele Grandolfo Mercoledi, 28/05/2014 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Giugno 2014
Le lamentazioni sulla difficoltà di applicazione della legge 194/78 raramente identificano specifiche responsabilità di ordine politico, amministrativo, dirigenziale ed esecutivo.
L’obiezione di coscienza viene assunta come fattore ostativo all’applicazione della legge senza entrare nel merito della valutazione delle risorse necessarie, umane, strutturali e infrastrutturali per l’esecuzione delle IVG, anche in termini di integrazione dei servizi impegnati nell’intero percorso, alla luce delle evidenze scientifiche riguardo le attività e le modalità operative raccomandate dal rapporto dell’OMS (http://apps.who.int/iris/bitstream/10665/70914/1/9789241548434_eng.pdf).
Riguardo le responsabilità politiche va ribadito che la legge indica esplicitamente la responsabilità del governo regionale nell’applicazione della legge stessa, poiché è lì che sono nominati i direttori generali delle ASL, da cui dipendono i presidi ospedalieri, i sevizi territoriali, i direttori generali delle aziende ospedaliere. Sono evidenti le catene di responsabilità politiche, amministrative e dirigenziali nell’assicurare un servizio pubblico, la cui interruzione è penalmente rilevante.
Per avere un’ idea delle risorse necessarie e della modalità di messa in rete dei servizi è utile quantificare quante IVG sono attese attualmente, in media, in un distretto di 100mila abitanti.
Le donne in età feconda sono circa il 25%, quindi 25mila; assumendo un tasso di abortività di 10 IVG per mille donne in età feconda, sono da attendersi circa 250 IVG/anno, cioè circa 5 IVG/settimana.
Alla luce delle evidenze scientifiche le IVG dovrebbero essere effettuate nella quasi totalità in anestesia locale per salvaguardare maggiormente la salute delle donne. In Italia oltre l’80% delle IVG vede il ricorso all’anestesia generale, nonostante la costante sollecitazione dell’Istituto Superiore di Sanità e delle relazioni ministeriali annuali almeno dal 1983 ad attenersi alle raccomandazioni internazionali. Oltre al danno per la salute sono evidentii maggiori impegni derivanti da tale inappropriatezza: dal maggior numero di analisi pre-IVG, all’impiego di risorse strutturali e professionali da condividere per altre attività, per le quali tali risorse sono indispensabili. Se l’obiezione di coscienza costituisce un limite, quella degli anestesisti non avrebbe implicazioni operative, se non in minima parte.
Se si facesse la scelta di indicare il consultorio familiare come luogo di prenotazione (anche uno per tutti, messi in rete), anche per assicurare una migliore applicazione della legge anche nel counselling post IVG, non dovrebbe essere una impresa titanica identificare le sedi ed assicurare le risorse necessarie per l’effettuazione delle IVG. Il ricorso all’intervento farmacologico, anche superando la restrizione a 7 settimane portando il limite a 9, come raccomandato, almeno un terzo delle IVG attese potrebbe essere effettuato con tale modalità, con una riduzione estrema dei carichi di lavoro ed è quindi da apprezzare la decisione della regione Toscana di individuare la sede consultoriale come più appropriata per tale alternativa. Infine, non dovrebbe essere difficile condividere le scelte con le donne, alla luce dei rischi e dei benefici in gioco, secondo il peso che le donne stesse danno loro, dopo valido counselling, che i consultori familiari possono fare meglio di altri servizi.
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