Ancora forzature interpretative ed attacchi ideologici alla legge 194
Due iniziative recenti ancora una volta vogliono contrastare la legittima facoltà delle donne di interrompere volontariamente una gravidanza non desiderata
Martedi, 01/06/2021 - Strano a dirsi, ma lo scorso 24 maggio sono state divulgate due notizie afferenti alla delegittimazione della legge 194, quasi ci fosse stato un disegno condiviso nel tentativo di contrastare ancora una volta la regolare facoltà in capo alle donne di interrompere volontariamente una gravidanza non desiderata. Entrando nel merito della questione, quel giorno è stato presentato a Roma un rapporto sui costi dell'applicazione della legge 194, commissionato dalla Società Italiana per la Bioetica e i Comitati Etici, dalla Fondazione il Cuore in una Goccia, dall’AIGOC, l’Associazione Italiana Ginecologi Ostetrici Cattolici e da Pro Vita e Famiglia.
Benedetto Rocchi, professore associato al Dipartimento di scienze per l'economia e l'impresa dell'università di Firenze, al riguardo dei costi di applicazione della 194 ha individuato nello specifico "una spesa tra i 4,1 e i 5,6 miliardi in 40 anni". L’intento di quanti hanno finanziato questo studio, per usare le parole del prof. Rocchi, è di “aprire un dibattito sui costi della legge. Mi colpisce che non sia mai stato fatto uno studio. I dati dimostrano tre fallimenti della norma: non previene l’aborto clandestino, crea problemi di salute pubblica e ha un impatto negativo sulla demografia”. A conclusione di tale ragionamento il menzionato docente si è posto una domanda, ossia “perché continuare a finanziarlo con i soldi dei contribuenti?”.
Sempre il 24 maggio scorso Lella Golfo, ex deputata del Pdl, nonché fondatrice e presidente della fondazione Marisa Bellisario, ha pubblicato una lettera al direttore del giornale 'L’Avvenire', Marco Tarquinio, in cui ha lanciato una “laica” provocazione sulla legge 194/78. Quale è quella di sospendere per cinque anni l’applicazione della legge 194, “vietando l’aborto per cinque anni - tranne in gravi casi di malformazione del feto o di violenza nei confronti della futura madre ", semmai dando “alle coppie che pensano di ricorrervi non un mancia ma un lavoro ed una casa”. Alla base della sua provocazione vi è la correlata tesi per la quale “La natalità è la nuova questione sociale universale e riguarda tutti, anche chi i figli - liberamente - non li ha voluti…..Serve piuttosto comprendere tutti che il tema della natalità è urgente e basilare per «invertire la tendenza e rimettere in moto l’Italia a partire dalla vita» come ha detto papa Francesco”.
Occorrerebbe, ordunque, concentrarsi su di un punto che accomuna le due notizie, ossia il ritenere che vi sia correlazione tra la crisi demografica vigente in Italia e la scelta di interrompere una gravidanza non voluta, in virtù della 194. Innanzitutto non è congrua tale correlazione per un dato più che oggettivo, quale è quello per il quale nel corso degli anni è drasticamente diminuito il numero degli aborti volontari, ma in contemporanea non è aumentato il numero delle nascite. Si sfati, conseguentemente, l’equazione meno aborti uguale nascite in aumento e si metta in chiaro una volta per tutte che, per sconfiggere in Italia la denatalità, occorra ben altro. In particolare, servono più risorse alla cura e alla crescita dei bambini, come anche incentivare il lavoro dei giovani e delle giovani donne e, soprattutto, promuovere e supportare la condivisione delle responsabilità familiari tra madri e padri, per il tramite di misure come il congedo obbligatorio di paternità, tra le più adeguate per avversare stereotipi vetusti nella divisione dei ruoli.
La denatalità si presenta, quindi, come una questione principalmente sociale ed economica determinata dalla mancanza di politiche organiche e continuative a sostegno della famiglia e delle donne che decidono di divenire madri solo in presenza di un lavoro stabile e sicuro. In mancanza del quale non sarà di certo la sospensione della legge 194 per cinque anni, oppure anche oltre tale termine temporale, a consentire un boom delle nascite. La natalità abbisogna di politiche di sostegno assunte e praticate con coerenza e continuità, tralasciando la politica dei sostegni occasionali, che di certo non possono da soli incentivare nella scelta di generare figli. L’Istat ha predisposto per Save the children “un Mother Index, sulla condizione delle madri rispetto all’impegno di cura, al lavoro, ai servizi per l’infanzia, che evidenzia che dove le condizioni socioeconomiche considerate sono più favorevoli, come in particolare nelle province di Bolzano e Trento, in Valle d’Aosta, in Emilia Romagna e, sia pur in minor misura, in parecchie regioni del nord e del centro Italia, maggiore è la propensione a generare. Mentre le regioni dove si sommano più povertà, minor occupazione femminile, povere dotazioni di servizi tendono a registrare maggiore denatalità”(welforum.it).
Tutto ciò vale se ad osteggiare la scelta di divenire genitori siano problemi a carattere economico. Ma, si sa, l’opzione di fare nascere un figlio può anche prescindere da tale motivazioni. In tal caso entrano in gioco altre ragioni, che potrebbero sostanziarsi nella scelta individuale della donna di non sentirsi idonea alla maternità. Una valutazione degna di rispetto e considerazione, a meno che non si ritenga che una gravidanza possa essere imposta per legge. Come sembrerebbero propendere quanti suffragano le tesi illustrate del prof. Rocchi, incentrate sui primi quarant’anni di applicazione della legge 194, laddove incentrino il focus sul conseguente costo finanziario -peraltro sottostimato a suo dire- ingiustamente sostenuto dalla collettività, soprattutto “in un tempo come il nostro, in cui le risorse economiche a disposizione del servizio sanitario risultano drasticamente limitate e che richiedono pertanto un’equa distribuzione sociale”.
Evidentemente il summenzionato docente, nonché quanti gli abbiano commissionato il suddetto rapporto, non considera quanto costerebbe in termini di vite umane perse il ricorso all’aborto clandestino, ove non ci fosse un sistema normativo che garantisca il diritto alla prestazione sanitaria dell’interruzione legale di gravidanza. Se proprio hanno intenzione di fare risparmiare soldi ai contribuenti italiani si attivino a incentivare diffuse ed ordinarie campagne esplicative dei metodi contraccettivi, iniziando a divulgarle nelle scuole pubbliche e continuando a renderle fruibili nei consultori, che da tempo aspettano di essere rivitalizzati nelle loro funzioni essenziali di importante presidio di riferimento socio-sanitario. Altrimenti sembrerebbe proprio che, non consentendo alla donna di scegliere quando diventare madre, costringano a gravidanze forzate.
Senonché sorge il dubbio che dietro la motivazione dell’oneroso esborso monetario correlato all’applicazione della normativa sull’interruzione legale della gravidanza si nascondano posizioni ideologiche precipue, come quelle specificate da Filippo Maria Boscia, presidente dell’Associane Medici Cattolici Italiani, in occasione della presentazione del primo Rapporto sui costi di applicazione della legge 194. Il suo “Viene legittimo chiedersi perché tale spesa, per una prestazione non indispensabile bensì fortemente voluttuaria, debba essere a carico di tutti, anche di chi è per la vita e per principio o per fede è decisamente contrario all’aborto” sarebbe, quindi, il reale motivo per cui non dovrebbe finanziarsi con denaro pubblico l’applicazione della 194? Sarebbe il caso di informarlo che l’aborto rientra nei Livelli Essenziali d’Assistenza, per cui il Servizio Sanitario Nazionale è dunque tenuto ad espletare la correlata prestazione sanitaria. A meno che Filippo Maria Boscia non ritenga che uno Stato debba considerare “voluttuario” tale prestazione, circostanza che, ben venga per le donne che decidono in libertà e consapevolezza se diventare madri, ai sensi della legge 194 non è.
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