8 MARZO AL TEMPO DELLE CRISI/2 - Per Libera Pisano le donne sono state la rivoluzione del Novecento. Riconoscimento e gratitudine a chi prima di noi ha combattuto il sistema
Marta Facchini Sabato, 28/02/2015 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Marzo 2015
Classe 1985, Libera Pisano consegue nell’aprile 2014 il titolo di Dottore di Ricerca in Filosofia presso l’Università degli studi di Roma “La Sapienza”, con una tesi dal titolo Lo spirito manifesto. Percorsi linguistici nella filosofia hegeliana. Ora, Libera è Visiting Research Fellow alla Humboldt Universität zu Berlin con un progetto di ricerca su Mendelssohn e Hegel. Si è occupata della questione del linguaggio negli scritti di Hegel, del pensiero di Vico, di tradizione anarchica, di utopia e gender studies. È redattrice delle riviste filosofiche Lo Sguardo, Filosofia italiana e Azimuth. Philosophical coordinates di cui curerà il numero, previsto per ottobre 2015, dal titolo Porno-logies. Bodies, performance and desire in the contemporary debate.
Che significato assegni alla Giornata Internazionale della Donna?
Personalmente non ho mai sentito il bisogno di festeggiare il mio essere donna che ho sempre vissuto, in modo schizofrenico, come un destino e una scelta. Non esiste una categoria assoluta della donna in cui mi riconosco, ma ritengo ci sia piuttosto una pluralità delle singole esistenze che sfugge a qualsiasi generalizzazione. Tuttavia, ci sono state grandi battaglie di donne che hanno condotto a conquiste di civiltà decisive, senza le quali molte cose, oggi date per scontate, non sarebbero state possibili. Ritengo che l’unico significato che si possa assegnare all’otto marzo sia quello di una giornata di consapevolezza storica, riconoscimento e gratitudine per chi, prima di noi, ha ritagliato con fatica degli spazi di lotta sgretolando un complesso sistema di dominio.
La Giornata Internazionale della Donna è fissata dalla Confederazione internazionale delle donne comuniste nel 1921 per ricordare una manifestazione di donne che aveva avviato la prima fase della rivoluzione russa. Nella storia del Novecento, l’otto marzo ha rappresentato l’azione comune delle donne oltre le differenze politiche, economiche, nazionali. Se oggi sembrano rafforzati i particolarismi, credi che sia ancora possibile parlare di azioni comuni delle donne?
Credo che nel Novecento nessuna rivoluzione sia stata più grande di quella consumata sul corpo e sulla condizione delle donne. Questo grazie ai femminismi e a determinate contingenze storiche che hanno consegnato un’altra visione del mondo. In Italia, forse più di altri paesi europei, le lotte dei movimenti femministi sono state di grande forza e hanno condotto a importanti risultati politici. Oggi l’efficacia delle azioni comuni delle donne è molto diversa rispetto al passato. Ci sono nuove forme di aggregazione politica dal basso, anche grazie all’uso massiccio di internet che agevola la diffusione e la partecipazione a iniziative diverse. Negli ultimi anni abbiamo assistito a grandi imprese femminili a livello globale, anche molto provocatorie, per la rivendicazione di diritti e di libertà ma anche per la necessità di risemantizzare spazi finora preclusi alle donne. Basti pensare alle guerriere curde della resistenza di Kobane o alla protesta delle donne iraniane, ma anche alle Pussy Riot, alle più radicali Femen o al collettivo delle Ragazze del porno, per dirne alcune.Tuttavia se prima c’era un sostrato teorico che dava forma a qualsiasi azione collettiva, oggi si avverte uno strappo profondo tra la vasta e sempre più variegata gamma degli studi di genere e l’attivismo dei movimenti. Questa crepa tra teoria e prassi dovrebbe essere ricucita per vedere in che termini le azioni collettive delle donne costituiscano al contempo una nuova prassi politica.
Di fronte alle nuove razionalità della vita economica, e al governo dei corpi che questa implica, ritieni che i pensieri delle donne possano rappresentare un momento di critica?
Nel panorama filosofico internazionale ritengo che le novità più interessanti vengano proprio dagli studi di genere. E non è un caso. Uno dei grandi temi della contemporaneità è la biopolitica, la disciplina che studia l’insieme delle pratiche con cui il potere agisce sui corpi. La declinazione inevitabile di tale argomento da parte degli studi di genere ha dischiuso orizzonti teorici originali. Penso ai contributi della Butler, della Braidotti, di Donna Haraway, di Nancy Fraserma anche al frastagliato arcipelago queer e transgender. Bisognerebbe, inoltre, cercare di essere più consapevoli della preziosa riflessione filosofica del femminismo italiano di Lonzi, Muraro e Cavarero. In Italia gli studi di genere, tranne pochissime eccezioni, restano fuori dell’accademia, mentre non è così nel resto del mondo dove si moltiplicano gli istituti di Queer/Women’s/GenderStudies.
Nei loro rapporti con il presente, ritieni che i femminismi siano ancora forma e pratica di cambiamento?
Assolutamente sì. Pur nelle sue declinazioni diverse, il femminismo è ancora oggi un pensiero critico che lancia alcune sfide significative, sia pratiche che teoretiche, per la comprensione del presente. Questo per almeno due ragioni: è sia una modalità con cui guardare la storia in controluce facendosi carico delle ragioni e delle storie altrui, sia coraggio e pratica di cambiamento che dischiude scenari etici possibili a partire da sé. Secondo me, si tratta di una preziosa e irrinunciabile forma di resistenza di cui siamo tenute a rendere conto.
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