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Anche noi credevamo

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150 anni - “La storia non ricorda mai che non è fatta solo dai maschi”. Riflessioni a margine di una ricorrenza

Giancarla Codrignani Venerdi, 11/03/2011 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Marzo 2011

Una donna, vedendo il film di Martone sul volto nascosto del Risorgimento, si accorge di aver memorizzato solo idee e figure maschili. Certo, ci sono due donne "protagoniste", Cristina di Belgioioso e Giuditta Bellerio, che dicono cose intelligenti, ma vengono ricordate soprattutto per il loro ruolo: la donna libera che dispone di sé e governa anche gli amanti e la consolatrice.

Quest'ultima è la baronessina Giuditta Bellerio, andata sposa giovanissima al ricco patriota carbonaro Sidoli, che, morto precocemente, le lasciò quattro figli, immediatamente sottratti dal suocero austriacante ad una madre inaffidabile, perché sostenitrice della sovversione. Incarcerata a Modena, poi sfuggita a Radetzky, è lei che ha consegnato alla guardia civica di Reggio Emilia il tricolore ed è lei che, esule a Lugano e a Marsiglia, ha ospitato gli esuli e tra essi Mazzini. Con lui, divenuto suo amante e padre di un ultimo figlio, ha fondato la Giovane Italia e, dopo la fine della relazione, ha continuato la campagna di sostegno, in Europa e in Italia, al Risorgimento. Stabilitasi infine a Torino, aprì un salotto politico risorgimentale in cui si preparavano le vie dell'unità. Quanto alla figlia di Gerolamo Trivulzio, semplicemente Cristina - nonostante i dodici nomi datile nel 1808 al fonte battesimale e nonostante l'enorme patrimonio di cui divenne a quattro anni erede universale - per ribellione al matrimonio con il figlio del tutore sposò il principe di Belgioioso, bello e corrotto che le trasmise la sifilide. Quando il marito le propone un ménage a trois, Cristina ha diciotto anni: scandalizzando i benpensanti, lascia il marito e Milano. Trascorrerà un paio d'anni di viaggi in Italia, incontrando patrioti e rivoluzionari e, quando la polizia austriaca l'obbligherà al rientro, fuggirà in Francia, dove continuerà ad impegnarsi per la causa. Recuperata parte del patrimonio, nel 1840 ritorna in Italia dove, senza abbandonare l'interesse per la politica, si dedica al riformismo sociale. Vive con la sua bambina "illegittima" a Locate, nel feudo Trivulzio, a contatto con la povertà dei contadini lombardi. Rifacendosi alle teorie di Saint-Simon e del Fourier, crea un asilo esemplare (secondo il giudizio di ferrante Aporti), poi scuole elementari maschili e femminili, contestata dal perbenismo borghese di chi - lo stesso Manzoni - riteneva che i contadini non hanno bisogno di cultura. Pubblica libri (un "Saggio sulla formazione del dogma cattolico"), traduce in francese il Vico, ha contatti con le grandi personalità del risorgimento da Cavour a Cattaneo, si impegna nell'editoria liberale e collabora con contributi propri, critici anche delle contrapposizioni litigiose dei patrioti, a sostegno della necessità di una mediazione monarchica. Tuttavia, quando scoppiano le "cinque giornate di Milano" porta alla città i 200 volontari della "divisione Belgioioso". Dopo il cedimento di Carlo Alberto torna a Parigi, ma, quando anche i francesi "tradiscono", va a sostenere la Repubblica romana, organizzando anche un corpo di infermiere. Dopo la fine tragica della Repubblica, Cristina torna alle peregrinazioni, da Malta ad Atene, alla Turchia (in Cappadocia compera un terreno per fondare una colonia per gli esuli italiani), alla Terrasanta; pubblica le sue esperienze in "Ricordi" e articoli che, contro l'esotismo di moda, registrano le piaghe della povertà e dell'ignoranza in Oriente. Passano gli anni, molti amici ormai sono morti, l'Unità è vicina e reale. Nel 1860 finalmente ottiene che per legge il nome Belgioioso venga riconosciuto alla figlia che così si sposerà e metterà al mondo un'altra Cristina. La prima Cristina è ormai nonna, ma non cessa l'impegno: fonda un giornale di impianto europeo, "L'Italie", e continua a pubblicare cose intelligenti; fino al 1871.

La finiamo qui, senza aggiungere il conteggio di quante donne hanno approfittato della rivoluzione risorgimentale per alzare anche la bandiera della "loro" libertà, ma soprattutto per "fare" l'Italia con le idee, il contributo personale, le azioni. Ricordiamo solo che nel 1861 in Italia circolava un centinaio di riviste e rivistine femminili. Gran parte delle prime notti erano stupri. Se una restava vedova ed era incinta, si ritrovava la tutela di un "curatore al ventre" perché la legge la riteneva inaffidabile per natura. Se studiava la ritenevano strana e, comunque, le vietavano le cattedre e il potere. Se condivideva le lotte del lavoro, i sindacati la mettevano davanti a tutti perché si presumeva che il regio esercito non avrebbe sparato sulle donne. Chiesero il voto (e la Repubblica romana lo aveva accolto nella sua Costituzione): lo ebbero dopo la seconda guerra mondiale. La storia, infatti, non ricorda mai che non è fatta solo dai maschi.

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