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Anche dopo che la morte ci ha separati

Anche dopo che la morte ci ha separati

Dobbiamo imparare ad usare le parole giuste: é un femminicidio, non una tragedia.

Martedi, 09/11/2021 - Molte persone hanno l’abitudine di andare il 2 novembre al cimitero a portare un saluto e un fiore alle persone care che non ci sono più. Anche alcune ragazze originarie di una piccola località in provincia di Modena hanno deciso di recarsi in quei giorni a visitare la tomba di una loro cara amica – Alessandra – che è morta poco più di un anno fa. Giunte al cimitero hanno scoperto che il suo corpo è stato sepolto accanto a quello di suo marito.
Niente di strano fin qui, mi direte voi. È ben frequente, anzi direi quasi scontato.
Ebbene la stranezza che ha fatto rimanere sbigottite le amiche è che quel marito prima di morire era indagato per aver ucciso Alessandra.

È il 1 ottobre del 2020 quando Alessandra Perini, una donna di 46 anni, madre di due ragazze adolescenti, residente a Sant’Antonio, muore durante il trasporto in ambulanza verso l’ospedale. È stato suo marito a telefonare al 118, spiegando che la moglie era caduta dalle scale e che ultimamente sveniva spesso. L’autopsia però rivela segni di violenza, tra cui una lesione alla testa a cui sono riconducibili il trauma cranico e l’emorragia celebrale che hanno causato la morte di Alessandra. Trauma che risalirebbe fino a 48 ore prima della richiesta di intervento. Se l’ambulanza fosse stata allertata subito, probabilmente, una tempestiva tac avrebbe potuto salvare la vita ad Alessandra.
Il 12 ottobre Davide Di Donna – marito di Alessandra – viene arrestato con l’accusa di omicidio preterintenzionale. Alcuni vicini di casa e alcune amiche informano che nell’arco degli anni Alessandra aveva subìto atti violenti di suo marito. Di fronte al Gip l’uomo afferma di aver dato uno schiaffo a sua moglie nel contesto di un litigio, ma di non avere avuto intenzione di ucciderla. Una lite finita male, diranno tanti superficiali cui fa comodo continuare ad ignorare che uno schiaffo non è mai solo uno schiaffo. La custodia cautelare in carcere viene in breve tramutata in arresti domiciliari, in quella stessa casa da cui Alessandra era uscita per l’ultima volta qualche settimana prima. Il 9 dicembre l’uomo viene ritrovato cadavere dai Carabinieri preposti a controllarlo: si è impiccato.
Non è affatto insolito che un femicida si suicidi subito dopo aver ucciso la sua compagna per evitare le conseguenze penali e sociali della propria azione. I giornali, invece, tendono ad interpretare questo scenario come una “tragedia familiare” in cui le vittime sono entrambi, non solo la donna. “Una tragedia nella tragedia” ha infatti scritto la Gazzetta di Modena: “Di Donna si è ucciso dunque a un mese dal suo ritorno a casa: chissà se avrà avuto qualche peso il pensiero del Natale ormai alle porte, e il doverlo passare quest’anno in completa solitudine, tra l’infinito affollarsi di ricordi nella mente”. L’avvocato dell’uomo aggiunge: “Ad averlo segnato è stata la lontananza dalle figlie e il dolore per la situazione che si era venuta a creare”. A leggere solo queste righe sembrerebbe che quest’uomo si sia ucciso perché una qualche calamità naturale ha ucciso tutti i suoi familiari condannandolo alla solitudine, non certo che egli l’abbia fatto per la consapevolezza di non essere riuscito a farla franca.
Ed è proprio questo genere di stereotipo che consente ciò che è poi accaduto, cioè che i familiari dell’uomo abbiano deciso di tumulare le sue ceneri nello stesso loculo di sua proprietà in cui lui aveva già sepolto Alessandra. Perché il matrimonio è indissolubile, e lega i coniugi anche dopo che la morte li ha separati.
D’altra parte è la stessa etimologia della parola “consorte” a dircelo: dal latino consŏrte, composto di cŭm “con” e sŏrs sŏrtis “sorte”, “che partecipa della stessa sorte”.

Non è la prima volta che noi donne non veniamo liberate neanche dalla morte dall’opprimente dominio degli uomini con cui abbiamo condiviso la vita.
Nel 2019 Alice Bredice ha dovuto subire l’umiliazione di un funerale congiunto con suo marito, che l’aveva uccisa e si era suicidato subito dopo. Molte sue amiche si rifiutarono di partecipare a quell’offensiva messa in scena; i suoi familiari svolsero poi una cerimonia civile per salutarla dignitosamente nella sua città natale (Ne avevo scritto qui: http://www.noidonne.org/articoli/perch-erano-sempre-una-bella-coppia-15841.php; http://www.noidonne.org/articoli/alice-bredice-storia-di-una-donna-che-desiderava-la-libert-15948.php).
Sempre nel 2019, Eleonora Perraro ha dovuto attendere cinque mesi prima di essere sepolta perché suo marito – indagato per averla uccisa –, in qualità di familiare più prossimo, si opponeva alla sua sepoltura ostinandosi a chiedere esami sul cadavere che dimostrassero la propria estraneità ai segni evidenti di violenza che Eleonora aveva subìto.
“Sono Eleonora Perraro. Non molto tempo fa sono stata ritrovata priva di vita a Nago, una ridente località che si affaccia sul lago di Garda. Avevo passato la serata in un bar con mio marito Marco e il mio cane Achille. E poi. E poi mi sono ritrovata qua. In questa camera mortuaria a Rovereto. Il tempo si è fermato. Ed è tuttora fermo, come se qualcuno avesse premuto il tasto pausa durante il film della mia vita. Avevo 43 anni quella notte. Pensavo di essere al sicuro con l’uomo che diceva di amarmi”. La madre di Alessandra aveva voluto ridare voce a sua figlia con un post su facebook per denunciare l’oltraggio a cui era ancora condannata, quattro mesi dopo la morte. “Sono rinchiusa al buio, io che tanto amavo la luce. Sono come un carcerato che attende di poter rivedere il sole. Per ora la mia sentenza non è stata pronunciata. Ma se ci penso bene non sono io il colpevole. Sono la vittima. Sono una donna che è stata brutalmente ammazzata. Che è stata deturpata. […] Mio marito Marco non fornisce il nulla osta per la mia sepoltura. Dice che il mio corpo svelerà la verità sugli accadimenti. Povera sciocca che sono stata. Ho sempre pensato che amore e verità fossero sinonimi”. Mariangela chiedeva solo di poter piangere sua figlia in un cimitero. Ha dovuto attendere cinque mesi. A luglio di quest’anno il marito di Eleonora è stato condannato all’ergastolo per averla uccisa dopo averla fatta ubriacare e aver preteso un rapporto sessuale rifiutato dalla donna – già vittima di atti violenti in passato, così come era già avvenuto alla prima moglie di quell’uomo -; Eleonora per il suo NO è stata presa a morsi, picchiata e infine strangolata. E poi tenuta in un limbo per mesi, senza neanche poter essere cremata come era suo desiderio.

Ora Alessandra Perini ha dovuto subire l’oltraggio di essere sepolta con suo marito e di veder apposta sulla sua tomba una foto del loro matrimonio, accompagnata dalla frase “In noi… i vostri splendidi sorrisi. Sempre e per sempre.” Appunto: per sempre partecipi della stessa sorte.
Le amiche di Alessandra – di fronte a questa scoperta – hanno aperto una colletta per darle una sua degna sepoltura; hanno trovato subito solidarietà, ma per ora la famiglia, pur ringraziando, fa sapere che per ragioni burocratiche e private non è possibile far nulla. Non è facile neanche riposare in pace, quindi. Non è facile liberarsi di un uomo violento perfino da morte. La Casa delle donne di Modena ha scritto: “L’ultima violenza Alessandra l’ha subìta pochi giorni fa, quando le ceneri del femminicida sono state seppellite accanto a lei. Con una bella frase ‘d’amore’ e tanto di foto del matrimonio ‘felice’. Esprimiamo la nostra vicinanza ai parenti e alle figlie e rispettiamo il loro dolore. Ribadiamo con forza che in nome della sacra famiglia non si può continuare a nascondere la verità. Si può amare un figlio, nipote, fratello, parente che commette crimini, ma in nome di quell’amore non si può cancellare il fatto che abbia rovinato con la sua violenza la vita di una donna e delle sue figlie”.

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