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Amy e Virginia. Due delle infinite anime di Londra

Amy e Virginia. Due delle infinite anime di Londra

Gran Bretagna - Virginia Woolf e Amy Winehouse, indomite e originali sperimentatrici che hanno lasciato traccia di sé. Merito anche dell'atmosfera londinese

Silvia Vaccaro Lunedi, 03/11/2014 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Dicembre 2014

 Chi si sognerebbe di accostare due donne come Virginia Woolf e Amy Winehouse? Raffinata scrittrice del secolo scorso la prima, icona post-moderna del panorama musicale mondiale la seconda. Appartenute a epoche diverse, hanno in comune, a prima vista, solo una fine tragica e prematura. Tra le pieghe delle loro storie personali e artistiche, è invece possibile scorgere numerose analogie interessanti. Entrambe londinesi, con un talento riconoscibile già dalla tenera età, possedevano uno spiccato gusto per la sperimentazione e per la ricerca. Indomite fin dalla nascita, entrambe simboleggiano la vivacità culturale e la tensione a fare cose diverse che questa città trasuda. Con forza e andando incontro all’ignoto, ognuna nel suo ambito hanno cercato strenuamente il proprio stile e la propria unicità, lasciando traccia indelebile di sé.



Amy e la sua bellezza strafottente. Classe 1983, la Winehouse nasce nella zona di Enfield, a nord di Londra, in una famiglia di origine ebrea. Frequenta già da piccolissima la prestigiosa Sylvia Young Theatre School, che dopo soli tre anni, a causa di voti bassi e comportamenti indisciplinati, è costretta ad abbandonare. Ma il suo talento è talmente riconoscibile che, dopo il passaggio in una scuola di jazz, viene notata dal produttore delle Spice Girls e nel 2003, esce “Frank”, il primo album, che riceve note positive da parte di critica e pubblico. L’unica a non amare quel lavoro è proprio Amy, che si sente usata dalla casa discografica, tanto da dichiarare pubblicamente di disprezzare il disco che è costretta a promuovere. Ha vent’anni ma sa che essere un’icona pop non le interessa. Quello che non sa è che la sua vita sta per cambiare per sempre. In un pub conosce Blake Fielder Civil, suo futuro marito, che la inizierà alle droghe pesanti. Il successo mondiale è comunque dietro l’angolo e Amy esce con il suo secondo album “Back to black” che la consacra a livello internazionale. Lei rimane la ragazza ribelle e strafottente degli esordi, e in un primo momento, riesce persino a usare le dipendenze a suo favore, raccontando nel singolo “Rehab” sua prima esperienza in clinica, da cui era scappata dopo quindici minuti. Dal 2007 al 2011 è tutto un cadere e rialzarsi, ma sempre più debole. Più il mondo si aspetta qualcosa da lei, più Amy sembra fregarsene e volere inseguire soltanto i suoi desideri. La droga piano piano spegne l’amore per se stessa. Lo showbiz fa il resto. La sua immagine pubblica viene costruita attorno a foto che la ritraggono ubriaca, fuori controllo, con il trucco colante e sempre più magra.



Ben pochi sanno che è stata anche una donna molto generosa e che, prima di morire, stava per adottare una bambina caraibica, sognando la maternità sin da giovanissima. Con Londra aveva un rapporto speciale tanto che nel 2008, quando si aggiudica ben cinque Grammy Awards dedica la sua vittoria anche alla capitale londinese e in particolare al suo quartiere di elezione, Camden Town. Con i suoi mercati, il canale e un flusso di gente, continuo e inarrestabile, rappresenta una delle anime più conosciute e amate di Londra. È lì che Amy trova se stessa e compra casa al numero 30 di Camden Square. Ed è lì che il 23 luglio del 2011 la ritrovano senza vita. L’autopsia rivelerà che la morte è avvenuta a causa di un’intossicazione da alcool dopo un lungo periodo di astinenza. Muore una donna e nasce un mito ed è come se Amy non avesse mai lasciato il quartiere. La si può vedere passeggiare con la sua cofana esagerata di capelli, i suoi tatuaggi old style, il trucco marcato e i deliziosi vestitini floreali. Camden parla di lei. Ci sono suoi ritratti sui muri e nel suo pub preferito, l’Hawley Arms, e perfino una statua opera dello scultore Scott Eaton, svelata a Londra lo scorso 14 settembre, per quello che sarebbe stato il 31esimo compleanno della cantante.



Virginia straordinaria innovatrice. Nata nel 1882, da genitori entrambi vedovi di precedenti nozze, visse i suoi primi anni al numero 22 di Hyde Park Gate, nel quartiere bene di South Kensington. Ebbe due fratelli e una sorella, Vanessa, con cui strinse un legame fortissimo. Nella mostra "Virginia Woolf. Art, life and vision" alla National Portrait Gallery di Londra, si trovano esposte le foto di loro due bambine che giocano a cricket, accompagnate dalle parole tenere di Virginia che ricorda quegli anni: “Io e Vanessa da piccole eravamo dei veri maschiacci!”. Poi la morte dei genitori, l’inizio dei problemi di instabilità mentale e la pubblicazione dei suoi primi pezzi. Nel 1904 Virginia si trasferisce insieme ai fratelli nella casa al numero 46 di Gordon Square, dove nascerà il circolo letterario Bloomsbury, dal nome del quartiere dove si trova l'abitazione dei fratelli, decisi a sfidare i costumi vittoriani e a portare nella capitale inglese nuova linfa. Nel 1910 il gruppo suscita tanto clamore per via di due mostre che contenevano i quadri di Gaguin, Van Gogh, Cezanne, Matisse e Picasso. Nel 1912 Virginia sposa Leonard Woolf, e nel 1917 lei e il marito fondano la casa editrice Hogarth Press.



#foto5dx#Questa novità le dà coraggio, spingendola a scrivere e a misurarsi con uno stile nuovo, abbandonando l’estetica tradizionale del romanzo dell'epoca. In poco meno di un decennio Virginia pubblicherà tutte le opere che la consacreranno come una delle più grandi scrittrici del ventesimo secolo. Questa voglia di innovare profondamente le deriva sicuramente dall’influenza di altri scrittori dell’epoca, ma nei suoi diari la scrittrice ammette di amare molto Londra e di avere un rapporto con la città molto intenso. È dunque anche merito della vita che trasuda dalla capitale londinese se la sua voglia di sperimentare nuove strade e di mettersi in gioco si intensifica negli anni.



Le due signore, diverse ma meno di quanto si creda, sono due simboli potenti di questa città eccessiva e piena di vita, e insieme colta e raffinata, in perfetto british style. Entrambe hanno amato molto l’arte e la vita, e seppur sopraffatte, nel finale, dalle tensioni e dalle fragilità, hanno lottato per intraprendere strade di libertà non convenzionali incuranti del giudizio degli altri, pur di rimanere fedeli a se stesse. Appare evidente un ruolo forte di Londra nelle vite di queste artiste, inteso come centro di energia esterna all’individuo capace di condizionarne, nel bene e nel male, l’esistenza. Quella Londra che sembra suggerire ai suoi abitanti di vivere secondo la celebre frase di Epitteto: “Sei libero, se vuoi”. Un invito a non conformarsi e a scegliere la propria strada. Forse non è quella giusta, ma è almeno una strada tutta per sé.

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