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Amore in pillole

Amore in pillole

Fra progresso e ignoranza - Viagra e pozioni sostituiscono il dialogo e la comprensione

Giuliana Dal Pozzo Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Marzo 2007

Tutte le sere la stessa scena: lei e lui, sposi ormai attempatelli, finivano di cenare e si sedevano sul divano a guardare la TV. Qualunque fosse il programma, dopo pochi minuti un ronfare, prima sommesso, poi sonoro, annunciava che lui si era felicemente addormentato. A questo punto ogni tentativo di riportarlo alla coscienza era inutile: inutili gli schiaffetti, i pizzichi, gli scossoni. Se ne ricavava solo un ringhio irato da mastino napoletano e qualche parolaccia bofonchiata con voce da sonno. Alla fine un specie di zombie si alzava e, barcollando andava a buttarsi sul letto. La moglie restava in compagnia dell’onorevole Giovanardi o dell’avvocatessa Bernardini De Pace che spiegavano qualche mistero della politica o della giustizia. Perché, si chiedeva, doveva vivere come un suora, priva dei casti amplessi che il matrimonio le garantiva? Quando al mondo era tutto un parlare di sesso, quando le menti più illuminate discutevano di piacere e di orgasmo, quando in televisione avevano preparato letti doppi per gli accoppiamenti di due che, prima del Grande Fratello, non si conoscevano nemmeno.
Non si può dire che questa moglie insoddisfatta non avesse sperimentato tutti i rimedi contro la frigidità del marito consigliati dalle amiche, dalle riviste, dagli specialisti di sessuologia.
L’ultima delusione era stata la biancheria intima. Colpa delle soap e dei film americani. Le scene più bollenti erano quelle in cui una donna appariva in déshabillé, sia pure dal medico o per cambiarsi d’abito. Una mossa proibita per i poveri maschi che parevano ignorare come fossero le donne sotto i vestiti e si scioglievano come pupazzi di neve al sole. Pizzi, trine, generose scollature, audaci trasparenze non avevano sortito alcun effetto. Non restava che chiedere aiuto alla scienza. Ed ecco la moglie sconsolata, ma ancora fiduciosa, tirare fuori da un cassetto una confezione di Viagra rimediata avventurosamente, e sciogliere nel bicchiere di vino del marito la famosa pillola azzurra che fa sognare migliaia di uomini affetti da turbe sessuali. Già se lo immagina come sarà la notte, tutta slanci di passione, meglio che a vent’anni. La misura dell’amore è amare senza misura, recita un vecchio detto: allora perché non aggiungere una seconda pillola? Gli amplessi si raddoppieranno, saranno ore travolgenti.
Arriva la sera, la cena, la solita scena sul divano. Pare che non succeda niente di nuovo e soprattutto di erotico finché non si sente un sospiro, poi un gemito. E ’il preludio della notte d’amore? No, il marito grida che si sente male, ha dolori lancinanti al petto, poi si accascia semisvenuto, è pallido come un morto. Via di corsa all’ospedale dove i medici diagnosticano un infarto. Poteva morire. Ma c’è qualcosa che non è chiaro e la moglie piangente e confusa viene interrogata a lungo finché la verità non salta fuori. E’ da incoscienti giocare con un farmaco così rischioso, con una dose esagerata, sciogliendo oltretutto la pillola nell’alcool: i sanitari, dopo un primo sbalordimento, spiegano all’afflitta signora che il Viagra non è un elisir d’amore e non funziona se l’uomo, come nel caso di suo marito, non prova desiderio sessuale.
Nel mondo delle tradite o delle deluse che vogliono riconquistare un uomo, questa storia al Viagra ha un sapore tutto speciale per la sua unicità e per il suo essere sospesa fra progresso e ignoranza. Si può ricorrere a un mezzo moderno per seguire una credenza antica; che ci sia all’esterno di noi e dei nostri sentimenti qualcosa che impedisce la nostra felicità e che può essere rimosso. Maghi e fattucchiere si arricchiscono su queste speranze che poi andranno in fumo. Pozioni magiche, rituali tenebrosi, amuleti carissimi scacceranno il malocchio, l’impotenza maschile, la frigidità femminile, l’infertilità coniugale. La colpa di tanta sfortuna è della cognata, della vicina di casa, della collega -quasi sempre una donna- che hanno operato una qualche “fattura”. Uno spreco femminile di intelligenza, di tempo, di denaro. Mentre la “fattura” miracolosa potrebbe essere un’altra: il dialogo sincero che spesso porta al chiarimento degli equivoci, la confidenza che ammette le debolezze, le spiegazioni che ricreano l’armonia o il coraggio di accettare che un rapporto è finito.
(29 marzo 2007)

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