Stato e Chiesa - Morale vaticana ed etica femminile, note di una donna credente
Giancarla Codrignani Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Luglio 2006
Chi è credente è in difficoltà: il fatto religioso, anche se non è individualistico, è certamente privato. Ne deriva che per una persona di fede uno dei primi requisiti è la laicità.
L'autorità del magistero, infatti, vale per l'ambito religioso e ha diritto di rendersi conosciuta; ma non può interferire con la politica dei governi, perché, per quello che riguarda i rapporti tra poteri diversi, è espressione di uno Stato estero.
Anche nel mondo laico domina la confusione e si è venuta perdendo la pluralità delle concezioni etiche: gli antichi conoscevano la morale platonica, la stoica, l'epicurea e così via, mentre oggi sembra che esista solo, genericamente, "la morale" sullo sfondo ambiguo, per il mondo occidentale, della morale cattolica. Così i laici arrivano ad avere "voglia di credere", senza capire che cosa significhi l'espressione, e cedono ai "superiori valori" del cattolicesimo (e non del cristianesimo che ha più larga accezione e, al suo interno, diverse confessionalità) negoziando mediazioni con un pensiero non mediabile. Accade così che i politici non vogliono scontentare il potere religioso e sono, nel nostro paese in particolare, attenti a non proporre leggi sgradite al Vaticano. Su questo,
come donna, avrei molto da dire, perché sia i Papi, sia i partiti dimostrano che il patriarcato non è per nulla morto: infatti, come potere anche elettoralmente, le donne valgono meno delle chiese.
Ma io volevo, una volta ogni tanto, farvi partecipi di un ragionamento interno al cattolicesimo. Mi ha sorpreso, infatti, che Benedetto XVI – che pure ha scritto un'enciclica per ricordare che "Dio è amore" - per questioni come pacs e aborto parli di "eclissi di Dio". Se, per la fecondazione assistita, dice che "se l'uomo si arroga il potere di fabbricare l'uomo, si arroga anche il potere di distruggerlo", ci si domanda non solo se c'è conoscenza corretta di una tecnica che non "crea"
né ovuli né spermatozoi, ma rende possibili maternità fino a ieri non possibili, ma dove dovrebbe andare Dio davanti a una società che continua a distruggere nelle guerre esseri che si sono riprodotti secondo la tradizione nuziale. La chiesa non ha potere di fermare le guerre? Allora perché deve interferire con le decisioni del governo che concede diritti agli omosessuali, senza congratularsi se si ritira da una situazione di guerra. Non siamo più ai tempi di Pio XII che condannava l'aborto e non l'olocausto.
Mi sono venuti dei brutti pensieri: che il Papa abbia paura. Benedetto XVI non assomiglia a Urbano VIII, che quando era cardinal Barberini poteva capire Galileo senza troppi turbamenti, ma condannò una teoria dannosa all'autorità di una Chiesa che non voleva ammettere errori. Oggi sembra che il Papa nasconda a se stesso la paura per la poca fede dei cristiani parlando di "eclissi" di Dio, che, per definizione, non può esserci e non esserci contemporaneamente: era meglio il parroco che raccomandava ai bimbi di non far piangere Gesù.
Il presente è certamente un tempo "epocale": la storia sta correndo rapida e fra dieci anni - se non ci saranno guerre o cataclismi a frenarla - avremo un mondo completamente diverso. Pensiamo ai progressi della medicina e della chirurgia: se rinsaldiamo femori con la plastica e prolunghiamo la
durata della vita, perché non consentire alla conoscenza più profonda dei tessuti e delle cellule la sperimentazione delle staminali? Dio era forse in eclissi quando Jenner, uno scienziato, innestò il vaiolo sul figlio per sperimentare la cura della terribile malattia?
C'è paura che la gente perda la fede. Ma di quale fede si parla? Anche il Papa cita poco il Vangelo, che è la pietra di paragone su cui saggiare se una società può dirsi cristiana e che conferma che nessun tempo finora può esser definito tale. Oggi la sfida è grande, non solo per il Papa o per i
cattolici o per i credenti di tutte le fedi: per tutti, infatti, o si realizza un mondo più avanzato perché più civile e più umano o è difficile pensare a qualunque "salvezza".
Perché allora cercare di ridurci al meno quando è il più che ci interpella e richiede sforzi congiunti di tutti gli uomini di buona volontà, che non sono solo quelli che vanno a messa. O di tutti quelli che non sono solo "uomini" che parlano da uomini e non possono permettersi di esaurire i
contenuti dell'amore di Dio.
Occorre che le donne alzino la voce: con lo sconquasso che agita il mondo, né il Papa né i governanti debbono parlare di sessualità, famiglia, matrimonio, aborto, sessualità, pacs, fecondazione assistita e altro senza ascoltare le donne.
Le donne non sono permissive o immorali: non accettano più che la morale sia unica, definita solo dai maschi. E' forse morale che in un unico articolo del "nuovo" catechismo siano indicati ai cattolici, come peccati, l'adulterio, l'omosessualità, la prostituzione, la masturbazione e lo stupro, vale a dire il crimine più grave dopo l'omicidio? Se Dio è amore (e il bisogno di ribadirlo in un'enciclica c'era solo perché il mondo ha bisogno di più amore), perché non siamo noi, a partire dal Papa, amorevoli? Possiamo definire errore della Provvidenza l'esistenza di omosessuali e
lesbiche ed escluderli dalla vita? se il Papa dice che debbono praticare la castità lo dirà, forse, ai soli cattolici; ma gli altri come possono rinunciare a vivere?
Perché non si ascolta la voce delle donne che ne sanno di più – perché pagano il disamore e il malamore sulla loro pelle - dell'amore, quello di Dio compreso? Che l'aborto sia un male, per piacere, lasciatelo dire alle donne: le statistiche dicono che la maggioranza di quelle che ancora
abortiscono (dopo una legge che ha ridotto il numero degli aborti e della mortalità femminile per le pratiche della clandestinità) sono le coniugate, a cui il marito non chiede se sono disposte ad un atto sessuale fecondo. Dio stesso indicava la via di una cultura superiore, quando inviò a Maria
un messaggero per chiederne la disponibilità e Maria ebbe la possibilità di dire di no. La prostituzione non è la donna o il travestito che disturba la viabilità della gente perbene: ha la sua causa nel disordine mentale di uomini che desiderano prestazioni banali per esercitare un dominio. Che la famiglia sia un bene è concetto universale: ma non l'hanno istituita le religioni, perché l'umanità si è affinata proprio creando gli affetti delle relazioni. Tracce delle età primitive restano nelle tradizioni e nelle mentalità; ma le donne, anche cattolicamente ortodosse, capiscono bene che
una coppia che conviva nell'amore rinnovato quotidianamente senza ricorso a sindaci o a chiese crea dei bimbi che hanno lo stesso diritto di tutti al nido. E per proteggere la famiglia sarebbe bene che anche la Chiesa cattolica condannasse i maltrattamenti che l'abitano senza distinzione di
ceti e culture: le donne vengono violentate e picchiate, così come i minori, in numero molto superiore alle denunce dei giornali. Il Papa non lo può ignorare, quando parla di amore.
Dio certamente non si eclissa; forse si indigna. Con chi? Certamente non con le donne.
(12 luglio 2006)
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