Amnesty International. L'innocenza perduta, per forza
Spose bambine - Mai più spose bambine, la campagna di Amnesty International in Italia in collaborazione con l’Università Roma Tre. L’attrice Isabel Russinova firma e recita uno spettacolo
Alma Daddario Lunedi, 09/05/2016 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Maggio 2016
Una serie di eventi partiti da Roma con eventi organizzati dall’Università Roma Tre insieme ad Amnesty International Italia, per ricordare all’opinione pubblica il dramma delle spose bambine. Il cammino è partito a marzo da Roma, con un convegno - tenutosi presso il Dams (Discipline delle arti, della musica e dello spettacolo) - e al Teatro Palladium della Capitale con uno spettacolo scritto appositamente per l’occasione da Isabel Russinova, testimonial ufficiale di Amnesty. Ad aprile e a maggio sono programmate nuove rappresentazioni a Palermo e Bagheria. Abbiamo incontrato l’attrice a Roma durante le prove.
Cosa ti ha colpito di questa vicenda delle spose bambine a cui ti sei ispirata?
Colpisce il fatto che l’uomo continua mettere in scena da sempre lo stesso copione fatto di orrori, di ingiustizie, di bestialità e la violenza contro la donna e contro i più deboli è e rimane sempre l’atto che mi indigna di più, lo stupro etnico, la violenza, l’omicidio, la brutalità, continuano a perseguitare la donna. La guerra, la povertà, le disuguaglianze sociali esasperano le realtà dei paesi in crisi, ed ecco le storie che si ripetono, gli orrori che ritornano mentre continua l’indignazione di fronte a realtà agghiaccianti che si dimenticano troppo in fretta, ecco che cosa mi fa male. Paesi dove non si tutelano i diritti della donna o paesi dove ci si sposa a 11, a volte addirittura a 9 anni, dove non vengono punite le violenze, gli abusi contro le bambine fatte sposare a forza, vendute per pochi spiccioli e usate come oggetti con cui si può giocare o usare come bottino di guerra. Per il Daesh, ad esempio, stuprare anche a morte ragazze jazide regala prestigio e valore allo stupratore. Tutto questo lo abbiamo già visto nella storia dell’umanità purtroppo, e si può iniziare con un elenco infinito, la guerra in Bosnia, il genocidio degli ebrei, degli armeni e dei curdi, i nativi americani, i popoli precolombiani. E da attrice mi viene spontaneo il riferimento a una delle più importanti tragedie greche: “Le Troiane” di Euripide, una delle prime drammatiche denunce sulla sorte delle donne vittime della guerra. Il copione, ahimè, è sempre lo stesso perché l’uomo è sempre lo stesso e quello che è più triste che anche la ragione che muove tutto questo è la sempre stessa - economia, interessi, potere di qualcuno a discapito di altri…anche per questo quando la Prof.ssa Anna Lisa Tota dell’Università Roma Tre mi ha parlato di un progetto da realizzare con Amnesty, di cui mi onoro essere da tempo testimone, ho aderito con entusiasmo.
A proposito di copione, pensi che il teatro sia un veicolo utile per parlare alla gente di questo problema?
Certamente. La cultura attraverso Il teatro, il cinema, la musica, la letteratura o la danza, può e deve sensibilizzare l’opinione pubblica attraverso i propri strumenti, animando storie e personaggi, per raccontare anche l’orrore, per far conoscere verità e realtà, per far si che nasca sempre più consapevolezza, sopratutto tra le nuove generazioni.
In Occidente si parla ancora poco di questo; quale può essere il nostro contributo per farlo conoscere?
Stimolare la costruzione di una nuova coscienza, nuove leggi, capaci di tutelare la donna e i più deboli, ma questo si può fare lavorando soprattutto per sanare la realtà sociale dei paesi più a rischio, lavorare sulla formazione, la cultura porta conoscenza e quindi crescita e benessere, ma per fare questo ci vuole la volontà di chi è più forte. Purtroppo chi è più forte è in condizione di approfittare del più debole, soprattutto se questo è immerso nell’ignoranza e povertà.
Le conseguenze sul fisico e sulla psiche di queste bambine sono devastanti, nella tua storia Safa e Awa riescono a salvarsi?
Molte delle spose bambine non sopravvivono alla violenza, alla gravidanza prematura, molte cercano di suicidarsi, altre vengono “suicidate” quando non servono più. È davvero vergognoso, terribile. E la cosa che più fa male è pensare che questo avviene nell’indifferenza del cosiddetto mondo “civile” soprattutto da noi in Occidente. Nella mia storia Safa ed Awa si aiutano, forse il calore che l’una può dare all’altra le potrà confortare, ma certo è che nella realtà queste sono ferite che non si rimarginano mai.
È un messaggio di speranza?
La speranza che qualcosa cambi c'è, soprattutto grazie alla consapevolezza e alla conoscenza data da iniziative come questa di Amnesty International sposata dall’Università Roma Tre. Ci auguriamo tutti che qualcosa cambi al più presto, e ognuno di noi può dare il suo contributo, chi come me recitando una storia, chi diffondendo, parlando, facendo in modo di sensibilizzare genti e governi.
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La storia
Lo spettacolo è ispirato alla storia vera di una donna siriana costretta a vivere nell’inferno della guerra. A Safa hanno tolto tutto, la famiglia, i figli, l’amore, la dignità, il futuro, si è abbattuto su di lei un orrore senza via di scampo, ma il destino le offre un’altra occasione per cui lottare, Awa. Awa è una piccola di 10 anni che come tante bambine ha smesso da troppo tempo di sorridere, è una sposa bambina. La famiglia l’ha data in moglie ad un uomo molto più grande di lei per poter pagare i debiti e tirare avanti. Quell’uomo, dopo averla presa, l’ha picchiata e torturata, ripetendo il macabro copione che colpisce migliaia e migliaia di bambine e che i conflitti non fanno altro che esasperare. Poi l’ha venduta ai soldati Daesh che l’hanno fatta diventare una loro schiava, come tante altre donne catturate, fatte prigioniere e piegate al malato volere e alla violenza dell’Is. È lì che Safa e Awa si incontrano, vittime degli stessi carnefici insieme ad altre donne. Awa è la più giovane tra le prigioniere e Safa vuole proteggerla, aiutarla, nel suo cuore la accoglie come una figlia e decide di cercare insieme a lei una via d’uscita.
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I commenti
Riccardo Noury, portavoce Amnesty International Italia.
"Con Safa e la sposa bambina' Isabel Russinova ci porta dentro l'inferno della guerra, ricordandoci che in quel contesto le popolazioni civili pagano il prezzo peggiore e, in particolare, le bambine subiscono violenze indicibili. Awa, la sposa bambina fatta schiava, è il simbolo dell'infanzia rubata, del futuro negato. Safa è la luce in fondo al tunnel, la speranza che i matrimoni forzati e precoci e la riduzione in schiavitù sessuale diventino presto un orrore del passato, da ricordare solo per non ripeterlo ancora".
Anna Lisa Tota, Prof.ssa Ordinario Università Roma Tre. “Il teatro, così come l’arte e la scienza, quando sono di qualità, possono contribuire a cambiare il mondo. Lo spettacolo di Isabel Russinova è una poesia in onore della solidarietà fra donne che subiscono l’orrore della violenza sessuale e della guerra. Esso da’ voce alle vittime invisibili, restituendo loro la dignità del nome. È uno spettacolo che ci porta sul baratro della violenza estrema, ma con il rispetto e la misura richiesti da un tema così difficile. Lo spettacolo ci sconvolge commuovendoci e ci cambia per sempre”.
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