La Donna del mese - "Mia madre mi ha insegnato che possiamo fare la differenza, che il mondo si può cambiare" dice l'assistente del Segretario generale dell’ONU e direttora dell’ufficio regionale dell’UNDP per i paesi arabi
Providenti Giovanna Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Giugno 2007
Dal 2006 è assistente del Segretario generale dell’ONU e direttora dell’ufficio regionale dell’UNDP per i paesi arabi e coordina uno staff di più di 500 persone attive negli uffici delle Nazioni Unite di 18 paesi arabi, di cui uno nei territori della Palestina occupata. Inoltre è a capo del programma “Millennium Development Goals”, rivolto alla promozione di governi democratici ed alla costruzione di società sempre più consapevoli e istruite.
Tiene conferenze in tutto il mondo insistendo soprattutto su un punto: per far si che le donne arabe emergano dalla condizione di oppressione in cui si trovano servono certo le misure che le organizzazioni internazionali possono mettere loro a disposizione, ma soprattutto è importante sostenere quello che parte da loro stesse, e mettere in luce i molti progressi che sono già in corso. “L’Occidente spesso presenta la donna islamica oppressa, controllata, discriminata, ma soprattutto negli ultimi dieci anni sono proprio le donne che hanno cominciato a porre nuove sfide all’interno della società, contestando le tradizionali politiche religiose e l’uso della religione per fini discriminatori. Sono le donne musulmane, più degli uomini, ad avere il coraggio di spingere per le riforme nell’Islam e nelle società islamiche”, emerge dal Rapporto curato da una donna che ha sperimentato personalmente cosa significhi trasformare se stessa affermando i propri diritti in un contesto sociale particolarmente difficile come quello yemenita. Amat el Alim Alsoswa è stata la prima ministra donna dello Yemen e l’unica ministra per i diritti umani del mondo arabo.
Navigando in internet abbiamo scoperto che è nata in una famiglia povera di un villaggio a 300 chilometri da Sana’a. Ultima di sette figli, orfana di padre, Amat el Alim deve a sua madre, che non sapeva né leggere né scrivere, non solo il fatto di essere emersa da una condizione di oppressione, ma anche di essere diventata una persona così fiduciosa e attiva: “Mia madre – racconta in un’intervista ad Imma Vitelli – mi ha insegnato che possiamo fare la differenza, che il mondo si può cambiare.” E per questo ha insistito affinché i suoi figli studiassero ed ha supportato i successi della figlia, che intanto si laureava all’Università del Cairo, perfezionandosi poi con un master in comunicazione internazionale all’American University di Washington.
Avrebbe potuto restare in America ed essere una delle tante donne arabe che fanno carriera, a capo coperto o meno, nelle organizzazioni internazionali. Forse sarebbe potuta ugualmente approdare agli uffici delle Nazioni Unite, grazie alle sue capacità di studiosa e lavoratrice. Ma Amat ha scelto una via molto più spericolata: tornata nel proprio paese si mette a collezionare tutta una serie di “firsts”, divenendo la prima anchorwoman delle tv yemenita, la prima sottosegretaria, la prima ambasciatrice e la prima ministra dei diritti umani di uno dei paesi arabi più arretrati nel mondo riguardo i diritti delle donne, che in Yemen rischiano la lapidazione per adulterio, sono costrette a sposarsi giovanissime, dipendono interamente dal potere del padre prima e del marito poi, e camminano interamente coperte da un manto nero. Tra il 2000-2003 Alsoswa è stata ambasciatrice in Svezia, Danimarca e Paesi Bassi, dove ha avuto l’incarico di rappresentare lo Yemen per la Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche. Dal 1997 al 1999 era stata sottosegretaria del Ministero yemenita dell’Informazione e presidente della Commissione Nazionale delle donne. Prima della riunificazione dello Yemen, aveva guidato la Yemeni Women’s Union.
Mentre Alsoswa era ministra, volendo raggiungere anche gli analfabeti (il 60% delle donne e il 25% degli uomini), aveva fatto diffondere per radio, giornali e tv yemeniti un messaggio semplice: "Hai dei diritti, prenditeli". Inoltre il ministero, attraverso l’istituzione di un centro di ascolto, aveva potuto dare spazio alle denuncie di bambine costrette a sposarsi a 13 anni, gente ingiustamente imprigionata, beduini discriminati dal governo centrale e giornalisti minacciati dal ministro dell’informazione: “Esaminiamo ogni esposto e, legge alla mano, inoltriamo i casi ai vari pubblici ministeri o uffici competenti. Dobbiamo educare i cittadini ad essere coscienti dei loro diritti. Soltanto allora sapranno riconoscere gli abusi”, raccontava Alsoswa, mentre era ministra, alla giornalista Imma Vitelli, dal cui articolo traiamo anche l’informazione che “i due maggiori partiti religiosi, Islah (Riforma) e El Haq (Giustizia) l’hanno messa all’indice prima ancora che diventasse ministra, ai tempi in cui faceva la sottosegretaria al ministero per l’informazione: “Un gruppo di sceicchi emisero una fatwa contro di me per dire che gli uomini non possono prendere ordini da una donna. Alle elezioni furono puniti e persero malamente. Da allora non è più un tabù avere una donna come capo”.
Piccoli grandi risultati ai quali Amat el Alim preferisce dare più importanza delle pur molte sconfitte da affrontare giorno dopo giorno. Comprese quelle proveniente dai paesi più avanzati, come ad esempio gli Stati Uniti.
“E’ paradossale, non trova? – diceva ancora a Vitelli - Che io stia qui a combattere con l’arretratezza del nostro sistema, che vada in giro a ispezionare prigioni, a promuovere rapporti sulle condizioni di vita nelle nostre carceri, a farmi ridere dietro perché dico che per trasparenza metterò tutto su internet, e gli Stati Uniti rifiutano qualsiasi accesso e qualsiasi diritto a centinaia di persone. L’impressione è che noi si faccia passi avanti, loro indietro”.
(12 giugno 2007)
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