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Alle sorgenti del vento

Alle sorgenti del vento

Mirella Floris - Come una musa infuocata la poesia, indifferente alla tecnologia, continua a cantare l’anima

Benassi Luca Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Marzo 2008

Ci si chiede spesso quale significato abbia la poesia oggi. In un mondo dominato dalla tecnologia, da una ricerca scientifica in grado di indagare gli angoli remoti dell’universo, nell’infinitamente piccolo come nell’infinitamente grande, in una società governata da una comunicazione pervasiva quanto inaffidabile, quale ruolo può avere la poesia? È una domanda di fronte alla quale gli stessi poeti sembrano essere spaesati, senza una possibile, univoca risposta di fronte al loro pubblico. Eppure è alla poesia ci si continua a rivolgere per interrogare la vita, per dare voce e fiato all’emozione, per cercare la bellezza del mondo attraverso la potenza evocativa della parola. La poesia continua a percorrere le strade solite della carta stampata o a cercare le vie nuove della rete, degli sms, dei monitor bluastri del computer, nel tentativo inesausto di assolvere il suo compito di cantare l’anima e dire la verità del cuore sopra il brusio incessante delle città, sovrastando il rumore di fondo, frenetico del quotidiano.
Mirella Floris tutto questo lo sa bene, e si muove nei terreni rocciosi e duri del verso con una fiducia nei confronti delle possibilità della poesia che lascia stupiti. Scrive Stefano Donno nella prefazione a Strisce di vento: “In questo tentativo, abbozzo di risalita e rinascita, il Tempo diviene una categoria ontologica, nella quale l’esserci e l’esistere, sono innanzitutto una scommessa su se stessi e per se stessi, un cammino dermico nel quale trovarsi, resistendo al senso di soffocamento proveniente dal grigiore e dall’imbestiamento dilagante.” Mirella Floris sfida il tempo che passa, lo scorrere dei giorni (il tempo e i giorni sono le due sezioni che compongono Strisce di vento, l’ultima fatica della poetessa), nei quali si rendono manifesti il dolore, la sofferenza, l’inquietudine, ma anche la voglia di lotta, di non arrendersi, il ricordo delle battaglie passate e delle barricate sulle quali si è passata la giovinezza. Quella della Floris è una poesia consapevole, soprattutto quando affronta il dolore di madre, soffrendo insieme alle mamme irachene e palestinesi, a quelle che hanno visto i figli dilaniati dalle bombe e dalle guerra. I versi migliori, però, bisogna cercarli dove la poetessa abbandona i toni civili per gettarsi in una filosofia quieta e meditata nella resistenza al tempo, fatta di “placido incanto/ nell’arco lieve dei pini,” dove la luce ancora brilla tra “cristalli di luce/ in sabbie di cipria,” e il vento continua la sua “rincorsa di suoni/ nel gioco dell’onda”. Stefano Donno, nella citata prefazione, ricorda i nomi di Montale, Ungaretti e Saba, ma forse le radici di questa poesia, soprattutto nella frammentazione strofica e nella verticalità di alcuni testi, affondano in certe concentrazioni di senso proprie della tradizione della lirica orientale: il respiro sottile della brevità dell’haiku, la dimensione rarefatta del tanka. Si tratta di piccole gemme, bagliori di luce dai quali farsi illuminare.
Mirella Floris, scrittrice e poetessa, ha pubblicato in poesia Lampi d’estate, Lampi del tempo e Strisce di vento; e i romanzi gialli La terrorista e Venuta dal mare. Cura la pubblicazione di inediti sul sito www.libreriadonna.com e opera nell’ADI (Associazione Donne Insieme) e nell’Od@P (Officina delle Parole) della quale è fondatrice e presidente. Con Strisce di vento ha vinto il secondo premio Elsa Morante (Roma 2006) e il Premio speciale della giuria Istituto Italiano di Cultura (ICI) di Napoli nel 2007. I testi pubblicati sono tratti da Strisce di vento.



ARGINI…

…di stoltezza
dei nostri
fiumi d’anima
bloccano il corso.

Forte la spinta,
tenace l’andare,
severo l’impegno…

a plasmare la storia
il corso scorre.


BARE INNOCENTI
(dopo il terremoto)

Uova nere
cova
la morte:
squassa
la terra
improvvisa
le schiude

L’urlo
piega le madri,
aggrappate
a bare innocenti:
folli
strappano
al nulla
creature sbiancate.

Solitario
il silenzio
spazza
cumuli di pianto.


OCCHI
(per i bambini stranieri naufragati
nel Mediterraneo)

Limpida di blu
gioca la luce
in occhi di bimbi:
nell’aria danzano
manine sicure.

Neri occhi di fango
sul fondo del mare
giacciono
al consumo lento dell’onda.


Rabbia inutile
dal profondo
del mio abisso
grida.



ATTESA

Grigio sguardo
nel vuoto
dell’assenza.

S’acquatta
il dubbio
nel sogno del poi.

Tremiti
nel volto
dell’ignoto.

Ambigua l’attesa
stringe
lacci d’ansia.



OVATTATA

Ovattata
- docile al passo
felpato il suono -
posa la neve.

Corpi feriti
Anime flebili,
speranze lievi
fragile copre.

Intanto,
rochi latrati
d’avidi cani
lontani avanzano.


(12 marzo 2008)

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