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Alice Hamilton, riformatrice sociale

Alice Hamilton, riformatrice sociale

Storia/ Profili - Una sovversiva della pace contro l’America dei veleni

Providenti Giovanna Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Giugno 2005

La prima donna laureata ad Harvard in medicina e primo medico del lavoro statunitense, impegnata per decenni nella ricerca sui rischi delle sostanze chimiche usate nelle industrie, per tutta la vita non ha mai esitato a rimboccarsi le maniche per salvare vite umane e per combattere contro le ingiustizie
Nel suo più di un secolo di vita (1869 – 1970), la Hamilton è stata pioniera e protagonista del suo tempo, attivandosi per comprendere scientificamente, e informare appropriatamente, riguardo le conseguenze sulla salute causate dalla crescente industrializzazione: sia per via dei cambiamenti intervenuti nello stile di vita di uomini e donne, sia a causa dei “veleni” industriali.
Sempre in primo piano nelle moltissime denunce di intossicazioni da lavoro e malattie industriali, derivate dalle sue indagini sul campo, attraverso tutta l’America, in qualità di “investigatore speciale” per il Federal Bureau of Labor, negli anni tra il 1907 e il 1945, Alice Hamilton ha avuto anche il merito di “scoprire” tali malattie e averle studiate a fondo, non soltanto in laboratorio, ma soprattutto in mezzo a operai e operaie. E si è inoltre attivamente impegnata per la istituzione di leggi che prevedessero un indennizzo da parte degli imprenditori in caso di avvelenamento industriale di lavoratori o terzi.
Per chi ne ha visto il film, tratto da una storia vera e interpretato da Julia Roberts, Hamilton potrebbe essere considerata una illustre antenata morale di Erin Brockovich, una avvocata proletaria, che, con grande determinazione, si fa paladina dei diritti di un migliaio di persone, tra lavoratori e abitanti della zona, gravemente ammalatisi per via dell’inquinamento idrico provocato da una industria. È usando le leggi, istituite grazie all’impegno politico e scientifico di Hamilton e altri/e come lei, che Brockovich riesce a vincere la causa, facendo “risarcire” gli avvelenati, e arricchendo se stessa.
Alice Hamilton, che non era avvocato ma medico, non è certo diventata ricca grazie al suo lavoro, a cui pure ha dedicato tutta la sua lunghissima vita, scegliendo solo negli ultimi anni di ritirarsi in meditazione, in una cittadina vicino Boston. Ha però ottenuto l’attenzione privilegiata dell’FBI, che, sospettandola di antiamericanismo, per via delle sue idee antipopolari e in difesa dei diritti umani e contro le guerre, ha continuato a vigilarla: anche da molto vecchia, quando, negli anni Sessanta, continuava a rendersi “sospetta” scendendo in piazza, contro la guerra nel Vietnam!
Non erano né denaro né fama ciò a cui più aspirava Alice, fin da giovane, quando, nonostante le difficoltà in quanto donna, ha persistito a conseguire la laurea in medicina e le molte specializzazioni, acconsentendo a sedersi in un angolo distante dai suoi colleghi maschi, per non rischiare di mettere a rischio il decoro dell’università!
Terminati gli studi alla University of Michigan Medical School, si reca in Germania insieme alla sorella Edith (nota come scrittrice e studiosa di classicità), dove prosegue la sua formazione scientifica e la sua conoscenza della chimica, che le sarebbe stata molto utile per comprendere la dannosità “di sostanze quali il piombo, il mercurio, l’acido nitrico, il solfuro di carbonio, l’ossido di carbonio, gli esplosivi, i coloranti di anilina, il benzene e tante altre sostanze chimiche con nomi complicati che direbbero ben poco alla maggior parte dei lettori, ma il cui studio si rivelò molto interessante sia per la varietà delle loro utilizzazioni sia per gli effetti che queste producevano sulla salute dei lavoratori che le utilizzavono” (A. Hamilton, Nelle fabbriche dei veleni,p. 4). Rientrata in America lavora per circa sette anni in un laboratorio di batteriologia, che lascia nel 1910 per assumere la direzione di un’indagine nelle “fabbriche dei veleni” su incarico di una commissione istituita dallo Stato dell’Illlinois.
A Chicago, “Professor of Pathology” al Women's Medical College della Northwestern University, ha l’occasione di ascoltare un discorso della riformista sociale Jane Addams, che la entusiasma. Per questo decide di legarsi a lei e alla sua comunità, andando a vivere, dal 1897 al 1919, a Hull-House, il Social Settlement fondato nel 1889 da Addams. Con lei, e le altre residenti e collaboratrici, Alice Hamilton partecipa alle numerose campagne in difesa dei diritti dei lavoratori e per l’istituzione di servizi pubblici – di tipo sanitario, igienico, sociale, formativo – confacenti alle sempre crescenti esigenze della popolazione povera, e per lo più immigrata, dei sobborghi industriali. L’impegno della Hamilton si svolge, dunque, contemporaneamente, in politica, nella ricerca sia medica che statistica (per valutare l’incidenza di determinate malattie industriali), e nella professione di medico vera e propria: senza separazione tra i tre piani, strettamente legati tra loro da un unico apostolato di donna impegnata con tutta se stessa in ciò che sa fare e a cui crede.
Durante gli anni della prima guerra mondiale Alice Hamilton partecipa attivamente a una iniziativa contro la guerra, svolta da un gruppo di suffragette pacifiste europee (tra cui Aletta Jacobs, Emmeline Pethick-Lawrence e Rosika Schwimmer) e americane (tra cui i due futuri premi Nobel per la pace Addams e Emily Green Balch). Si tratta dell’International Peace Congress, svoltosi, ad aprile 1915 a L’Aia (città simbolo). Al Congresso vengono poste le basi della Lega Femminile per la Pace e la Libertà, e viene organizzata una “missione di pace”: una delegazione di donne si reca dai ministri europei per proporre la costituzione di una commissione di esperti internazionali, con lo scopo di fare cessare immediatamente il conflitto non per armistizio ma per mutuo accordo, e senza vincitori né vinti. La proposta era stata compiutamente stilata, dalla pacifista Julia Grace Wales, in un documento, dal titolo International Plan for Continuous Mediation without Armistice. In esso leggiamo: “I membri della commissione hanno funzione scientifica, ma non diplomatica; non devono rappresentare i loro governi ... ma esplorare le questioni concernenti il presente conflitto, ed alla luce di questo studio fare proposte ai paesi belligeranti nello spirito dell’internazionalismo costruttivo. Se il primo sforzo fallisse, essi dovranno ancora consultarsi e deliberare, rivedere le loro iniziali proposte ed offrirne delle nuove, tornando indietro ancora ed ancora, se necessario, nella immutabile persuasione che in fine potrà essere trovata una qualche proposta, con basi concrete e attualizzabili per giungere a tangibili negoziati di pace”(Women at the Hague, p. 137).
Hamilton, che ha fatto parte della delegazione, è stata coautrice del libro Women at The Hague. The International Peace Congress of 1915, in cui vengono raccolti i documenti e viene raccontata l’esperienza del Congresso, la partecipazione e la solidarietà tra donne anche appartenenti a stati in guerra tra loro, ed il lavoro della delegazione dai ministri europei. In particolare, Hamilton racconta “la parte non ufficiale, le persone incontrate informalmente e le impressioni acquisite mentre attraversavamo i vari paesi” (p. 51), dandoci uno spaccato degli anni della prima guerra mondiale inusuale rispetto ad altra letteratura storica del periodo.
Attraversando i paesi in cui si stava svolgendo il conflitto europeo più sanguinoso che la storia avesse fino allora conosciuto, e in un momento storico particolarmente difficile per le donne, sembra sorprendente il modo in cui Alice Hamilton e compagne siano riuscite a fare cultura di pace. Assumendosi il ruolo e l’autorità di rappresentanti politiche, hanno avuto il coraggio di organizzare manifestazioni pubbliche nei vari paesi in guerra e di andare a interloquire con uomini di stato che non si sono rifiutati di aprire loro le porte: “quando le nostre insolite rappresentanti bussavano alle porte dei Cancellieri d’Europa, non ve ne fu nessuna che non si fosse aperta” (p. 98).

* Ricercatrice presso l’Università Roma Tre, si occupa di studi sulla pace e di genere, in particolare nella prospettiva pedagogica

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