Mercoledi, 29/05/2019 - È trascorso un mese dalla morte di Alice Bredice. È trascorso un mese da quando Alice è stata uccisa da suo marito Simone Cosentino, che poi si è ucciso con la stessa pistola d’ordinanza con cui le aveva sparato, lasciando che fossero le loro bambine a scoprirne i cadaveri.
Nell’articolo “Perché sembravano sempre una bella coppia?” (http://www.noidonne.org/articoli/perch-erano-sempre-una-bella-coppia-15841.php) già ho riflettuto sull’azione femicida di quest’uomo e su quanto questa decisione sia stata devastante in modo aberrante per le loro bambine. Oggi, ad un mese di distanza da quelle morti, dopo aver letto ciò che la stampa locale – ragusana e piemontese – ha pubblicato in queste settimane, vorrei fare un altro tipo di riflessione.
Subito dopo la scoperta dell’atto femicida non si conosceva il prima di questa coppia, che appunto era definita da amici e vicini come l’ennesima bella coppia. Ora, leggendo la stampa locale, possiamo ricostruire il loro prima. E così scopriamo che quella di Alice è l’ennesima storia di possesso, di non-amore, di fiducia tradita.
Scopriamo che Alice aveva conosciuto Simone circa dieci anni fa, in Val di Susa, regione in cui lei è nata, quando lui prestava servizio presso la polizia stradale. Dopo qualche tempo lui riesce ad ottenere il desiderato trasferimento nella sua Ragusa e lei decide di seguirlo e di sposarlo. Quanto ci hanno ripetuto – quanto ci ripetono – che la famiglia è e deve essere il primo obiettivo nella vita di una donna? Lo segue a Ragusa, quindi, lasciando a chilometri di distanza la sua amata famiglia. Nascono due bambine. Ma il sogno si infrange contro la dura realtà. Perché nessuno ci ha mai raccontato cosa succede dopo il “vissero felici e contenti” delle favole, dopo che le porte del castello del principe si sono chiuse? Simone è possessivo, geloso, diventa ossessivo. Il padre di Alice oggi racconta: “Simone era ossessivo con mia figlia, la seguiva ovunque e non poteva mai allontanarsi da sola. Erano sempre insieme. Era riuscito ad allontanarla da tutti noi e dagli amici che aveva qui in Piemonte. Non potevamo neanche andare a trovarla a Ragusa, ce lo aveva vietato”. Lo zio di Alice aggiunge: “Da tempo mi diceva che era diventato possessivo, la controllava sempre in modo ossessivo e la stalkerizzava telefonandole più volte al giorno, nonostante fosse in servizio in polizia. Forse aveva paura di perderla, ma per mia nipote la situazione era diventata insostenibile e mi diceva: «Zio, questo non è amore»”.
E non è amore, è bene chiarirlo: perché la violenza maschile non ha proprio nulla a che fare con l’amore, come invece la comunicazione pubblica pretende ancora di mescolare continuando a parlare di amore folle, o di troppo amore. Amare una persona significa in primo luogo desiderare che sia viva, sempre. Significa desiderare il suo bene, la sua felicità. Per questo Alice aveva deciso di separarsi, pur rimanendo a Ragusa per non allontanare le bambine dal loro papà. Quello stesso papà che le ha obbligate a scoprire i loro cadaveri. Aveva già trovato un lavoro Alice, ma suo marito Simone non accettava questo. Non accettava la libertà di sua moglie. Ed ecco il problema: l’aggettivo “sua”. È da questo aggettivo possessivo che nasce la violenza maschile contro le donne: nasce nel momento in cui noi donne usciamo da quello schema che ci è stato costruito attorno, quando decidiamo di riprenderci la nostra libertà. Attenzione: “ri”prenderci significa che quella libertà è già nostra, è già un nostro diritto, e che noi abbiamo deciso – fiduciose, perché educate a farlo – di metterla da parte per quello che ci viene descritto come il bene superiore della famiglia. Ma gli uomini non tollerano questo, non ammettono che le loro donne siano libere. E così ci uccidono. La violenza maschile contro le donne non è infatti un indizio del patriarcato, ma della sua crisi. È una reazione al nostro cambiamento.
Ma c’è un altro aspetto che la stampa locale ci ha raccontato in queste settimane, e che impone una riflessione. Appena 24 ore dopo l’uccisione, sono stati celebrati a Ragusa i funerali di Simone e Alice. Insieme. Su ragusanews.com è pubblicata una foto con le due bare, una accanto all’altra. Come se questi due coniugi fossero morti in un triste incidente d’auto! Sorvolando sulla domanda se sia corretto, da un punto di vista religioso, celebrare il funerale di un omicida-suicida (riflessione che pure meriterebbe attenzione, ma in un’altra sede), ciò che qui preme segnalare è quanto questa decisione – che, preciso, non so da chi e come sia stata presa – aggiunge offesa all’offesa. È davvero oltraggioso che si faccia questo ad Alice! Perfino da morta, perfino al proprio funerale deve avere accanto il suo assassino? Neanche da morta, da uccisa, è stata rispettata come persona, come donna nella sua individualità! Perfino da morte, da uccise, siamo solo le mogli di qualcuno?! Leggo anche che al funerale hanno preso parte i vertici della polizia al completo, dal questore ai dirigenti; spero per rendere omaggio ad Alice e non al loro collega, il cui fascicolo personale – ci si è premurati di dire - era lindo, senza alcun richiamo.
Qualche giorno dopo le donne di Marina di Ragusa hanno voluto ricordare Alice e le mamme vittime di violenza lasciando volare in cielo 33 palloncini rossi, come gli anni di Alice. Lo stesso giorno in cui Alice, finalmente, tornava a riposare nella sua terra d’origine, il Piemonte, accanto alla sua mamma, morta qualche anno fa. Il padre e il fratello di Alice hanno scelto di non lasciarla a Ragusa, accanto al suo assassino, e ora sono impegnati nell’ottenere l’affidamento delle bambine. Alice è stata salutata a Leini, vicino Torino, in una cerimonia civile, per la quale i familiari hanno fatto sapere di non portare fiori, perché durante la stessa cerimonia hanno fornito delle indicazioni per effettuare donazioni ad associazioni che si impegnano per combattere la violenza di genere. Ed è proprio da Leini che pare partirà un progetto di educazione sentimentale e al rispetto destinato alle scuole italiane, che sarà curato dall’Associazione “Il sentiero dell’essere”. Ed è proprio questo ciò di cui i nostri bambini – gli adulti di domani - hanno bisogno: una nuova educazione sentimentale e al rispetto di tutte e di tutti.
“Voleva solo vivere serena e senza ossessioni” dice suo padre Claudio. Questa era la colpa che Simone attribuiva ad Alice: vivere serena e senza ossessioni.
Un’ultima riflessione. Da tempo ormai i giornalisti vanno a cercare notizie sui protagonisti delle notizie scandagliando i loro social network, e anche in questo caso lo hanno fatto. Allora leggiamo quali sono state le ultime frasi di Alice. Ma leggiamole con attenzione. Il 24 aprile Alice aveva scritto su Facebook: “Evviva quelli che ridono con gli altri e non degli altri. Evviva quelli che urlano per qualcuno e non contro qualcuno. Evviva le persone belle, quelle che sanno colmare vuoti, quelle che cercano di farti ridere anche quando non c’è niente da ridere. Quelle che quando non ci sono manca qualcosa. Qualcosa di bello.” Alice in quei giorni era stata nel suo Piemonte per le vacanze di pasqua. Io leggo queste sue parole come un inno alla gioia che la sua famiglia le stava regalando in quei giorni, lontano dalle violenze psicologiche di suo marito. E le leggo come una speranza, la speranza di una nuova vita serena e libera che Alice desiderava per sé stessa e per le sue amate bambine. Speranza che Simone non le ha permesso di realizzare.
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