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Alemanno e la questione nomadi - di Tiziana Sgubin

Alemanno e la questione nomadi - di Tiziana Sgubin

'Mi dispiace, non credo al suo dolore. Ho pagato sulla mia pelle i costi di una politica ipocrita.'

Lunedi, 21/02/2011 -
Ho cominciato a lavorare al comune di Roma durante la giunta Rutelli. Fui chiamata in qualità di antropologa per svolgere una mappatura dei vari campi nomadi della capitale, una raccolta dettagliata di dati quantitativi e qualitativi relativi ad ogni insediamento, da quelli spontanei e quelli autorizzati. Allora di zingari in realtà conoscevo ben poco oltre la letteratura, da quella sociologica a quella più folkloristica, del loro mondo amavo il leggendario spirito libero e anarchico. Mi sono trovata subito invece, per compilare la mia nobile indagine, con il fango alle ginocchia, e mi sono subito chiesta quale potesse essere la differenza tra un campo spontaneo e uno autorizzato, dal momento che si trattava in entrambi i casi di persone censite e in condizioni di vita davvero non concepibili e tanto meno autorizzabili. Ho cominciato a scrivere, intervistare, segnalare, mi sono fatta portavoce dei problemi di questo popolo disperato, ma ogni volta che rientravo in ufficio mi sembrava di parlare un altro linguaggio, di non riuscire a far capire l'urgenza e la gravità di situazioni che lasciavo scoperte come ferite destinate alla putrefazione. Sono clandestini, non hanno documenti, hanno carichi giudiziari in corso, rifiutano di integrarsi. Eppure io vedevo persone, vedevo bambini, vedevo topi morti alle fontanelle e piedi nudi che condividevano la stessa pozzanghera. Ho redatto un elaborato fittissimo di informazioni sulle condizioni dei rom, con tanto di ipotesi progettuali mai lette da nessuno. Se Alemanno dice di avere impresse le immagini di quel campo in cui sono morti quattro bambini , io mi chiedo, anzi gli chiedo, perché non te ne sei accorto prima? Noi operatori sociali quelle immagini le conosciamo quotidianamente, e le segnaliamo altrettanto quotidianamente, ma non ci sono mai risposte adeguate. Sono quelle immagini davvero impresse dentro che ci fanno andare avanti per lottare in una battaglia in cui ci avete reso impotenti e frustrati. Se è vero che ci sono difficoltà ad individuare aree prive di vincoli, è vero anche che di aree per centri commerciali se ne trovano di continuo, ma forse quello di cui vi preoccupate di più è calcolare le ricadute che un investimento efficace sui nomadi avrebbe sul consenso dell'opinione pubblica. Ho partecipato al trasferimento dei rom al campo di via di Salone, campo che avrebbe potuto essere davvero preso a modello se fosse stata data la possibilità alle associazioni di creare percorsi di integrazione e coesione che l'attuale sovraffollamento rende impossibili. Gestivo per il V Dipartimento un piccolo villaggio rom, insieme a stupendi operatori dell'Arci; al suo interno avevamo organizzato un asilo nido, inserendo alcune mamme zingare con la finalità principale di disincentivare dall'attività dell'accattonaggio minorile ed offrire un ambiente protetto di gioco e socializzazione per i bambini; avevamo creato un laboratorio di sartoria per giovani donne, un corso di alfabetizzazione per adolescenti. All'interno del campo, ero la responsabile di uno sportello di segretariato sociale e di ascolto, con la funzione di raccogliere le richieste e le situazioni di disagio per poi riportarle direttamente all'ufficio nomadi del comune. Il regista Citto Maselli ha dedicato un meraviglioso cortometraggio al campo della Cesarina, ritraendo il poetico risveglio dei bambini nelle baracche e nelle roulottes. In quel campo la percentuale di scolarizzazione dei bambini era al 98%. Tutto questo è finito, senza spiegazioni, senza senso, com'è la LORO politica. Dal 2009 sono stata licenziata dal comune di Roma, la mia professionalità non trovava un adeguato contesto, ammirevole ma inutile, perché l'impegno a volte è scomodo, meglio scaricare le responsabilità e scrollarsi le colpe di un non fare, di un'indifferenza che è criminosa, indecente, cinica. Ora sento queste terribili notizie in televisione, e riconosco il marcio nei discorsi di amministratori incapaci e perfidi. Vorrei rammentare al sindaco il brindisi che i suoi colleghi di partito fecero alla bocciatura del progetto del villaggio nomadi di via dei gordiani, e gli slogan razzisti sull'intolleranza verso i rom che tanto si dimostrarono efficaci in campagna elettorale. E vorrei tanto che avesse accolto le ripetute segnalazioni di degrado e rischio igienico-sanitario presenti all'interno dei campi. E non mi parli ora di tendopoli, per favore, o di mega-campi isolati in cui deportare e segregare persone a cui dobbiamo imparare a dare una dignità. Mi dispiace, non credo al suo dolore. Ho pagato sulla mia pelle i costi di una politica ipocrita. Avevo tanto da dire e da dare per i rom, chiedete una volta tanto il parere agli esperti, e non pretendete deleghe sempre più assolute per agire in un settore, quello sociale,che non sapete gestire e che trasformate astutamente in questione sicurezza. Non credete di risolvere tutto con agenti di sorveglianza, telecamere e clima da assedio, la povertà non è un reato. Servono piuttosto educatori, mediatori, operatori, serve la solidarietà per vincere una paura che sta diventando davvero pericolosa. Prima di andarmene dal comune di Roma avevo proposto ai miei dirigenti l'apertura di uno sportello di ascolto per dar voce ai rom e raccogliere le richieste di assistenza per poi rivolgerle ai servizi competenti. La risposta che mi è stata data sono stati tre punti interrogativi. Spero davvero che un altro mondo sia possibile.

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