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‘Il Seme del Fico Sacro’: un grido di libertà e ribellione dall’Iran delle donne e dei giovani

‘Il Seme del Fico Sacro’: un grido di libertà e ribellione dall’Iran delle donne e dei giovani

Candidato agli Oscar come Miglior Film internazionale e Premio Speciale della Giuria al Festival di Cannes, il film di Rasoulof arriva nelle sale dal 20 febbraio

Mercoledi, 12/02/2025 - Un film come ce ne sono pochi, ‘Il seme del fico sacro’ (The seed of the sacred fig), diretto dal regista iraniano Mohammed Rasoulof, che riesce a raccontare la storia di un Paese, di un movimento e di un’epoca attraverso la vita quotidiana di una famiglia della borghesia iraniana, dove apparentemente regna la ‘normalità’, dove sembra esserci unione ma dove presto, al contrario, si apriranno brecce e anzi voragini, a delineare invece l’immenso scollamento e le enormi contraddizioni presenti nella società iraniana, tra il vecchio regime repressivo e oscurantista e le giovani generazioni.

In particolare il film è dedicato (non a caso le protagoniste sono due studentesse di Teheran) alle coraggiosissime donne e ragazze che hanno manifestato e continuano a protestare e a scendere in piazza per rivendicare il loro diritto alla Vita e alla Libertà, all’interno di un Movimento inarrestabile dopo l’omicidio della ventiduenne Mahsa Amini, arrestata dalla polizia morale per aver violato la legge sull’obbligo dell’hijab, indossato in maniera «impropria» (sembra sia stata uccisa per le percosse, ma i comunicati hanno parlato di cuore debole e malore).

Il titolo del film, ‘Il seme del fico sacro’, si riferisce ad una particolare pianta di fico e nell’incipit del film il regista, in sovrimpressione, spiega a suo modo il perché sia stato inserito nel titolo: “In alcune isole meridionali dell’Iran ci sono alcuni vecchi alberi di fichi sacri, il cui ciclo di vita ha attirato la mia attenzione: i loro semi cadono sui rami di altri alberi. Quei semi germogliano e le loro radici si muovono verso il terreno: quando le radici raggiungono il terreno, il fico sacro si regge sulle proprie gambe e i suoi rami strangolano l’albero ospite.” Una metafora chiarissima, legata alla situazione politica del suo Paese ed alla speranza che il vecchio regime venga, a poco a poco, soffocato da tutto ciò che è sacro.

Dopo la sua presentazione, ‘Il seme del fico sacro’ ha vinto un meritatissimo Premio Speciale della Giuria al 77° Festival di Cannes, premio che ha attribuito il giusto riconoscimento ad un’opera di grande valore politico, umano e universale. Il film, che arriverà nelle sale italiane il 20 febbraio distribuito da Lucky Red e Bim Distribuzione, ha avuto l’onore delle cronache fin dalla sua presentazione al Festival di Cannes, anche per la rocambolesca avventura vissuta dal regista, costretto a fuggire clandestinamente dal suo Paese per raggiungere la Croisette, poiché già l’anno scorso, invitato a far parte della Giuria del Concorso, non aveva potuto lasciare l’Iran a causa dei divieti imposti a lui ed altri artisti.

È cosa tristemente nota infatti che il regime iraniano imponga la censura al cinema, fino ad arrestare i registi scomodi e ‘disobbedienti’, basti pensare a Jafar Panahi, tanto per citare uno dei più famosi, che insieme a Rasoulof è stato in carcere per lunghi periodi e delle cui disavventure sono piene le cronache. Ma la creatività e la vitalità dei cineasti iraniani, non si è mai fermata davanti ai divieti, alla repressione e neppure al carcere, e tanti film sono stati girati (e diffusi) con abili espedienti narrativi nei quali la vita reale di cineasti, attrici e attori diventa la trama stessa del film.

Data la situazione politica del suo paese, Mohammad Rasoulof non poteva che costruire un film dal clima paranoico e claustrofobico, che volge quasi al thriller politico e che, nonostante la durata (160 minuti) cattura l’attenzione dello spettatore e lo avviluppa in una ragnatela di preoccupazione e tensione per le protagoniste e per l’evolversi imprevedibile della storia.

‘Il seme del fico sacro’ ha infatti, come protagonisti, un neo-giudice istruttore della Rivoluzione, Iman (Missagh Zareh), che inizia a capire presto quali compromessi gli vengono chiesti per mantenere la tanto agognata promozione (come ad esempio giudicare un uomo senza neppure aver letto gli atti processuali) e la sua famiglia, la moglie casalinga devota Najmeh (Soheila Golestani) ma meno rigida del marito (che già sogna una casa più grande dove vivere) e le due figlie, che rappresentano l’apertura al mondo, la libertà, l’intelligenza e la ragione contro l’oscurantismo: Rezvan (Mahsa Rostami) di 21 anni e l’adolescente Sana (Setareh Maleki), 16 anni, che frequentano l’Università e la scuola e seguono il Movimento e le proteste da casa e dai loro cellulari, oltre che tramite un’amica che viene coinvolta in uno scontro.

Nelle strade intanto infuriano le proteste dei movimenti per la morte di Mahsa Amini: molte delle immagini inserite nel film, che mostrano molto bene la violenza gratuita del regime, sono state realmente realizzate da cellulari di persone che si trovavano in loco e il regista ha deciso di utilizzare tutto questo incredibile materiale ‘grigio’ che dà realmente il senso del reale.

Mentre Iman è alle prese con il peso psicologico del suo nuovo ruolo e le sue figlie sono scioccate e, allo stesso tempo, elettrizzate dagli eventi, la moglie Najmeh cerca di fare del suo meglio per tenere insieme la famiglia: quando Iman scopre che la sua pistola d'ordinanza (altra metafora del potere) è sparita, il sospetto cade su ogni membro della sua famiglia. Spaventato dal rischio di rovinare la sua reputazione e di perdere il lavoro, il pater familias diventa sempre più paranoico e inizia, in casa propria, un'indagine in cui vengono oltrepassati tutti confini, uno dopo l’altro, fino ad un viaggio da incubo e ad un tragico, inevitabile epilogo che però, nel messaggio del regista, apre alla speranza di un futuro migliore.

Le mura domestiche, entro le quali si svolge la maggior parte del film, sono un luogo sicuro e una prigione al tempo stesso: non basterà reprimere gli oppositori o presunti tali per fermare le masse di giovani e di persone di ogni età che vogliono cambiare le cose. Il mondo fuori dalle mura della tradizione e dell’ipocrisia spinge e non è possibile restare asetticamente distaccati, pena la connivenza col regime e/o l’isolamento dal mondo.

"Le giovani donne del mio paese del movimento ‘Donne Vita Libertà’ - ha affermato il regista - mi hanno ispirato con il loro grande coraggio di lottare. Il mio popolo è ostaggio del regime, una situazione di sofferenza che si vive quotidianamente, gli attori del mio film sono stati trattenuti in Iran con la pressione dei servizi segreti della Repubblica Islamica e sono profondamente triste. Questo film è un miracolo ma in Iran accadono cose terribili agli artisti, agli studenti universitari, ai giovani, come la condanna a morte di Toomaj Salehi per la sua attività artistica di rapper".

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