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Ai papà separati - di Stefania Cantatore

Ai papà separati - di Stefania Cantatore

Lettera aperta ai padri che soffrono

Mercoledi, 22/09/2010 - La legge sull’affido condiviso non ha avuto buoni risultati, complicando le cose, forse per imperizia o per concreta inapplicabilità, nella vita delle donne e degli uomini, a soprattutto in quella dei bambini. Almeno di molti bambini, donne e uomini.



Ma un effetto sicuro è stato quello di rendere visibile una comunità, fino a poco fa impensabile, di uomini che si associano tra di loro, rivendicando una forma di oppressione e minorità giuridica per la sola appartenenza al genere maschile.



Forse sarà per gli effetti per lo più negativi di questa legge, per la sua, per certi versi, superfluità rispetto ad un diritto di famiglia che già prevedeva ragionevolmente ampi spazi alla (brutta parola) bigenitorialità, che da tempo giudici, uomini e donne ne dichiarano l’inadeguatezza.



Quando una legge è inadeguata ai problemi che affronta, presto o tardi, viene cambiata, ed il presto evidentemente rappresenta un problema per chi l’ha ardentemente voluta.



La prospettiva di un cambiamento ha evidentemente allarmato, a ragione o a torto, coloro che “da oppressi” hanno vissuto quella legge come l’inizio di una conquista: la definitiva esautorazione legale delle madri. Legale appunto, perché, nella pratica, i dati sull’occupazione femminile, sulla consistenza patrimoniale, sul livello di autodeterminazione femminile (ultimi dati sulle violenze in famiglia, sulle previdenze alla maternità, ecc.) già parlano della condizione effettiva delle madri nel nostro Paese.



Nonostante una, mia ed associativa, lunga esperienza di padri che non versano gli alimenti pur potendo, che usano le visite settimanali come randelli, o che addirittura le minacciano solo avendo in realtà l’intenzione di passare altrimenti il proprio fine settimana, credo che tra quei padri “oppressi” ci siano delle vittime della rigida divisione dei ruoli e del giudizio di tribunali prevaricati dalla pigrizia paterna del magistrato, se non dalle angherie di una donna.



A questi padri, sinceri e, spero, umili nel riconoscere il magistero della facoltà materna voglio suggerire alcune riflessioni sulla trasparenza, non di tutte, ma certamente di alcune associazioni “di papà separati”. Ce ne sono alcune che usano slogan femminicidi insieme all’apologia delle percosse preventive a compagne e mogli; ce ne sono alcune nate dal teorema dello strapotere globale del genere femminile; ce ne sono addirittura alcune collegate ad altre che postulano l’inesistenza dei contorni del reati di pedofilia.



Conosco queste cose per ragioni ovvie ed anche per le intrusioni piratesche nella mia posta( personale e quella dell’associazione a Napoli). So queste cose ed altre per gli attacchi pubblici ai già asfittici centri antiviolenza “covi di femministe misandriche”.



La volontà associativa, nel nostro paese, è coperta dalla più ampia garanzia di libertà, quindi nulla da eccepire sul fatto che degli uomini si associno in base alla loro appartenenza al genere.



In merito a queste associazioni, va solo osservato che chi vi aderisce deve forse tener conto che in Italia la legge prevede, e la punisce (o dovrebbe), l’apologia di reato e l’associazione a delinquere di stampo ideologico. Prima di aderire o sostenere in blocco la bontà di certe argomentazioni, vale la pena di approfondire ed esaminarne lo sbocco sociale e politico di tante insistenze anche parlamentari .



I recenti tagli alla spesa sociale a sostegno delle madri, il definanziamento del sostegno alle vittime di violenza sessuata, non saranno forse da mettersi in relazione diretta con la nuova, grande visibilità assunta dalle testimonianze dei padri separati. Ma forse quella visibilità e quei tagli sono sintomi di un male del quale non si vogliono riconoscere i motivi profondi: l’incapacità di affrontare l’ineguaglianza tra generi a scapito delle donne.



Per gli uomini e le donne di questo Paese c’è ancora chi pensa ad un futuro difensivo se non offensivo verso le donne, c’è ancora chi pensa per le proprie figlie, giovani e piccole donne, ad un futuro “protetto nelle maglie di una dominazione maschile” e per questo esprime, in modo non sempre apertamente dicibile, scherno e ostilità per quel patrimonio di convivenze che è ancora, e sarà per molto tempo, il femminismo. Per gli uomini che credono giusto associarsi e fare lobby in nome di un’oppressione, conseguenza dei favori stessi dei quali godono, e per gli uomini che vogliono essere giusti la riflessione è d’obbligo.





Stefania Cantatore

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