Dall''assistente emotivo, affettivo e sessuale’, figura professionale per le persone disabili, al sex workers con tanto di fattura. Il passo ... potrebbe essere breve. Potrebbe ...
La prima risale a molti decenni fa: sono tra le poche fortunate che ebbero la possibilità di conoscere di persona una attivista che oggi viene ricordata a malapena negli ambienti dell’associazionismo che si occupa di disabilità. Si chiamava Rosanna Benzi: visse per 29 anni dentro ad un polmone d’acciaio, all’ospedale San Martino di Genova. Nel 1962, non ancora quattordicenne, Rosanna Benzi fu colpita dalla poliomielite bulbo-spinale: la malattia le causò una tetraplegia e una grave insufficienza respiratoria, costringendola a trascorrere il resto della vita in un polmone artificiale. Rosanna Benzi divenne un personaggio pubblico da giovanissima, poco più di un anno dopo il ricovero, a seguito di una lettera privata che mandò a papa Giovanni XXIII, gravemente malato, nella quale offriva le sue preghiere al pontefice: lui le rispose, ringraziandola.
La stampa dette ampio rilievo al carteggio e fu così che Rosanna decise di usare la sua notorietà per accendere la luce sulla condizione disabile in modo inedito e coraggioso.
Fu in una stanza al piano terra del pronto soccorso che la intervistai, ascoltando con grande emozione e sgomento le sue risposte, ritmate dai tempi ipnotici dalla gigantesca macchina che le permetteva di respirare. Pioniera molto diretta sui temi della disabilità, dei corpi e della sessualità, fondò e diresse la rivista Gli Altri: da quelle pagine parlò sovente di sè, delle sue emozioni di donna in un corpo bloccato dentro ad una macchina, persino di desiderio di maternità. Raccontò tutto questo anche attraverso alcuni libri, in particolare Il vizio di vivere, che divenne un film nel 1988, diretto da Dino Risi con interprete Carol Alt nei panni di Rosanna.
Quando Rosanna Benzi parlava e scriveva di diritti delle persone disabili (e non solo, perché sulle pagine de Gli Altri spesso diede voce al mondo dei manicomi, appoggiando la rivoluzione basagliana) non disse mai che il sesso è un diritto: parlava, questo sì, del fatto che le persone disabili hanno corpi, emozioni, desideri e ovviamente diritti esattamente come chiunque; denunciava come si ragionasse di sessualità poco e male, nel mondo disabile così come nel resto della società, visto che l’argomento era trattato solo riferendosi agli uomini mentre per le donne parlare di sesso era un tabù.
Sono convinta che proprio il suo essere una donna, pur invisibile dalla testa in giù ma con una forza vitale non domata dalla terribile malattia, le facesse considerare importante e urgente ragionare della complessità del corpo e delle relazioni, non solamente della sessualità, che delle relazioni umane è una piccola parte.
Dopo di lei non ci sono state altre voci femminili autorevoli così dirompenti nel mondo della disabilità: nel discorso pubblico, monopolizzato da uomini, si è fatta spazio la tesi che il sesso sia un diritto. Non la salute, il benessere, l’accesso gratuito alle cure: il sesso.
Da qui a normalizzare la prostituzione come prestazione lavorativa, terapeuticamente autorizzata da un corso che istituisce una figura preposta a somministrare il servizio al disabile il passo è breve: in Europa è già in vigore in Austria, Belgio, Danimarca, Germania, Paesi Bassi e Svizzera, paesi nei quali del resto la prostituzione è legale.
Qualche anno fa, con l’appoggio del sessuologo Fabrizio Quattrini, che con garbo e misura ha condotto trasmissioni in televisione sulla sessualità e la crisi del desiderio nelle coppie, partì dalla Toscana un percorso per la formazione di una figura definita ‘assistente emotivo, affettivo e sessuale’ dedicata alle persone disabili; andai ai primi incontri perché volevo capire di cosa si trattasse e quale visione ci fosse dietro, e dentro, la rassicurante e moderna dicitura di lovegiver, che è anche il logo dell’associazione presieduta da Max Ulivieri, uno dei primi disabili che ha sostenuto la creazione della figura dell’OEAS, acronimo che sta per operatore all’emotività, all’affettività e alla sessualità.
In Italia ci fu un dibattito molto risicato, e imbarazzato, sulla questione anche a partire dal film The session del 2012, scritto e diretto da Ben Lewin, basato sulla storia vera del poeta e intellettuale Mark O’Brein, con protagonisti due strepitosi John Hawkes e Helen Hunt.
La proposta è di recente tornata in auge dopo l’elezione nelle liste Pd di Iacopo Melio al consiglio regionale della Toscana. Melio parla di un‘assistente emotivo, affettivo e sessuale’ per le persone disabili e propone di inserire questa figura nell’ordinamento nazionale. A suo dire la proposta non ha nulla a che fare con la prostituzione o con i sex workers, ma con l’educazione all’affettività e alla sessualità da parte di professionisti, salvo poi aggiungere che “quello alla sessualità è un diritto universale di primaria importanza per il benessere psicofisico e la soddisfazione personale di ogni essere umano”.
Il paradosso, in un paese che da molto prima della vittoria della destra ha sempre faticato a considerare fondamentale l’educazione sessuale, affettiva ed emotiva nelle scuole, è che si possa creare una figura ibrida che in nome e per conto di un presunto diritto di un gruppo di (solitamente uomini) disabili ‘risolva’ il problema della mancanza di possibilità di avere rapporti sessuali a causa di impedimenti causati dall’handicap. Alcune domande: come si configura l’intervento dell’assistente sessuale senza che questo non sconfini nella prostituzione? Se si ufficializza questa figura non sarà poi più facile rendere ufficiale la prostituzione come lavoro legale con relativa ricevuta fiscale, anche per chi la esercita con uomini normodotati, una proposta peraltro avanzata da tempo dalle reti dei consumatori del sesso a pagamento, in primis dalla Lega? Sembra che il Pd toscano abbia al suo interno molti sostenitori di questa proposta: il dibattito è aperto, e molto in salita.
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