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Agricoltura, bene comune

Agricoltura, bene comune

EUROPEE, COME E PERCHÈ /2 - Intervista a Rossana Zambelli, direttore CIA, sull'imprenditorialità agricola e sull'importanza dell'Europa

Bartolini Tiziana Lunedi, 05/05/2014 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Maggio 2014

 “Siamo europeisti da sempre e abbiamo continuato a credere ed investire sull’Europa fin dai suoi primi passi”. A parlare è il mondo agricolo ed è Rossana Zambelli, direttore di CIA (Confederazione Italiana Agricoltori) dal 2010 e da oltre un trentennio impegnata nel settore, sempre in CIA. E sempre vicina alle donne, delle quali apprezza la concretezza, l’efficienza e la capacità di innovare che è dimostrata dal successo delle numerose aziende a conduzione femminile. Sull’Europa non ha esitazione: sì all’UE ma anche massima attenzione ai cambiamenti che le contingenze e le esperienze rendono necessari. “C’è una normale evoluzione. L’Unione è partita come mercato e siamo arrivati alla moneta unica. Un cammino straordinario che oggi deve porsi l’obiettivo di ridefinire il percorso verso uno spazio comune più vicino ai cittadini, stabilire un nuovo equilibrio tra aspettative sociali e realtà imprenditoriali”.



E rispetto all’agricoltura, in modo particolare, cosa vede per il prossimo futuro?

L’agricoltura deve essere considerata un Bene Comune, deve essere percepita come volano economico. Se finora l’Europa ha stabilito dei limiti alla produzione con le quote, per il futuro si dovrà invertire la rotta e avere l’obiettivo di incrementare la produzione. Questo si rende necessario per i cambiamenti sopraggiunti: pensiamo all’aumento demografico e ai cambiamenti climatici che incrementano la domanda di alimenti. Non è un caso che l’EXPO 2015 a Milano abbia come tema quello di nutrire il mondo, l’agricoltura nel suo insieme avrà una indiscutibile centralità.



Cosa dovrà cambiare nelle istituzioni europee che andremo a rinnovare a fine maggio?

Intanto sottoporremo le nostre proposte ai candidati per renderli consapevoli dell’importanza di questo settore e delle innovazioni che occorre realizzare. L’Europa si dovrà confrontare in modo serrato e avere la capacità di mettersi in discussione. Va bene l’attenzione all’Euro e agli equilibri economici, ma ci sarà sempre più bisogno di azione politica comune sul fronte della cittadinanza e delle politiche sociali. È necessaria l’affermazione di una politica estera e delle migrazioni che guardi al Mediterraneo come un naturale bacino di relazioni umane ed economiche e di potenziale sviluppo. In questa prospettiva il nostro semestre di Presidenza europea sarà un’occasione da non perdere per affermare i valori di cui siamo portatori.



E il mondo agricolo come deve cambiare?

Intanto deve partire dalla consapevolezza del suo valore, a cominciare dal fatto che le produzioni agricole non sono delocalizzabili e hanno bisogno di quella terra e di quel sole. Quel territorio e quel paesaggio sono un bene di cui lui ha cura e che aggiungono valore alla sua produzione. L’agricoltore deve essere protagonista nel dialogare ed essere propositivo delle aree rurali perché l’agricoltura si declina in ambiente, in territorio e poi in mercato.



Eppure mai come questa volta si sono levate così tante voci critiche verso l’Europa. Cosa ha determinato questa ostilità?

Dobbiamo assumerci le nostre responsabilità come sistema-paese che non ha saputo sfruttare pienamente le opportunità che l’Europa ha offerto. Si è diffusa l’idea di un soggetto che impone e che non da nulla in cambio, qualcosa che pone problemi. Il risultato è che viviamo sulla pelle le politiche restrittive e non vediamo o raccogliamo i benefici. Poiché nei prossimi anni i finanziamenti saranno solo quelli comunitari dovremo attrezzarci sia sul fronte della politica sia come strutture amministrative, a partire dalle regioni. L’innovazione europea chiede alla classi dirigenti di essere più veloci e di sintonizzarsi con quei meccanismi. Come fanno gli altri Paesi, del resto. Dobbiamo imparare a vedere l’Europa non come una sovrastruttura, ma a sentirci parte di una comunità che ci appartiene, anche. Del resto non riesco a pensare a noi fuori dall’Europa. Sarebbe come se domani decidessimo tutti di buttare via i nostri telefonini. Sarebbe impossibile, naturalmente!

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