Lunedi, 10/04/2017 - Autrice di film politici e impegnati spesso osteggiati o bloccati, Agnieszka Holland ha saputo raccontare storie radicate nella sua realtà, avvicinandosi nel contempo anche ad altre culture e visioni del mondo. Premiata con l’Ulivo d’oro al 18mo Festival del Cinema Europeo di Lecce, durante la conferenza stampa, ha fatto una carrellata sui temi della più scottante attualità.
Dalla globalizzazione al ruolo femminile – “Viviamo un periodo storico di transizione, in cui gli eventi si succedono a gran velocità e noi non riusciamo ad elaborarli. Abbiamo vissuto con ingenuo ottimismo la caduta della cortina di ferro, assistito al tentativo di cambiare la situazione dei Paesi dell’Est dopo il crollo del comunismo, sperando di tornare a vivere come negli Anni Trenta del secolo scorso, senza capire che ciò comportava inevitabilmente il ritorno anche dei demoni, di quel periodo. Ci troviamo in un contesto che vede protagonisti tanti leader, soprattutto nazionalisti e populisti, i quali portano avanti indisturbati, le proprie idee per almeno tre motivi. Uno dei motivi del successo dei leader populisti, è la globalizzazione, che rende i governi incapaci di esercitare il un adeguato controllo. I governi si illudono di gestire il potere, ma il potere in realtà è nelle mani delle multinazionali. Così, tra i cittadini, si diffonde costantemente un senso di frustrazione, a causa della perdita della loro identità. Il secondo, è strettamente connesso a Internet e alla rivoluzione digitale: una rivoluzione dagli effetti potentissimi, proprio come quella industriale, o della stampa, che ha cambiato radicalmente il modo di comunicare. La rete ci è parsa, sbagliando, la nuova democrazia dell’informazione, ma ha creato delle bolle da cui non si riesce a verificare cosa sia vero e cosa no. Infine, il cambiamento di ruoli all’interno della società, grazie all’emancipazione della donna, che è diventata più intraprendente e ha smesso di essere l’angelo del focolare. Questo però, ha provocato una forte reazione da parte dei maschi bianchi come Trump, che si vedono privati di una grossa fetta del loro potere, non solo nella società, ma anche nell’ambito della famiglia e della coppia”.
Politica, immigrazione e cinema – “Temi come l’immigrazione e l’integrazione, non sempre vengono trattati nella giusta forma espressiva: talvolta lo si fa con superficialità, magari per attirare favore e attenzione. Sul grande schermo, molti sono capaci di descrivere l’odio e di affrontare con la giusta empatia, argomenti scottanti, come la sofferenza delle persone, ma in verità, nemmeno noi che lavoriamo in questo ambito, riusciamo a trovare delle risposte, proprio come i politici. È tempo di assumersi tutti delle responsabilità e guardare in faccia la realtà: una volta usciti di scena i vari dittatori come Saddam Hussein, le nazioni sono rimaste nel caos, sono scoppiate altre guerre, che hanno portato milioni di persone a vivere nell’incertezza e tentare di sfuggire alla fame e alla morte, inseguendo la speranza in Europa. Quest’ultima però, non è preparata ad accoglierle perché le teme, soprattutto se provengono dai Paesi islamici, per definizione associati agli attentati terroristici”.
Dal cinema alle serie tv - “Amo realizzare film che parlano del passato, non perché mi piaccia indagare il tempo andato per un senso di nostalgia: decido di trattare accadimenti lontani, solo se c’è un loro legame con la situazione contemporanea. Le domande che mi pongo e i problemi che analizzo sono attuali, anche quando faccio film in costume. Mi sta a cuore che il mio cinema ponga domande, in grado di generare dibattiti.
Negli anni '90 però, nel cinema è scomparsa quella terra di mezzo, in cui si trattavano in maniera comprensibile grandi temi e problemi complessi. Una terra di mezzo, che avevamo creato negli anni '60, '70 e '80 in Europa e negli Stati Uniti, che arrivava ai festival. La sua sparizione, ha generato due estremi: l’impegno e il cinema d’autore da una parte, e il puro intrattenimento, ovvero i blockbuster, dall’altra. In mezzo, il deserto, ed è stato un dramma per il cinema, perché è venuto meno ciò che il pubblico cercava realmente. Così, le televisioni hanno colmato il vuoto, realizzando produzioni rivoluzionarie. Assistendo a questa trasformazione, mi sono resa conto che potevo lavorare anche per il piccolo schermo, affrontando temi a me cari, in maniera innovativa. Mi si apriva la possibilità di esprimermi, senza dovermi arrabattare per trovare i finanziamenti indispensabili per il cinema. In Europa, se vuoi realizzare un film, servono almeno 2 milioni di Euro e qualche star, che magari rincorri anche per un anno: è molto frustrante. In tv riesci a trovare la tua strada e a portare sul set attori originali. La mia prima esperienza è stata con The Wire, per me una dichiarazione politica sulla società americana”. Due volte candidata agli Oscar (nel 1985 con Raccolto amaro e nel 1990 con Europa Europa, film con il quale vince il Golden Globe), Agnieszka Holland, ha iniziato la carriera cinematografica in Polonia, come assistente di Krzysztof Zanussi, collaborando poi con Andrzej Wajda. Attori di provincia, film emblema del “cinema dell’inquietudine morale”, è stato premiato nel 1980 dalla critica al Festival di Cannes. Nel 1981 la regista è emigrata in Francia, ma da tredici anni vive negli USA. Il Festival del Cinema Europeo ha proposto una selezione delle sue pellicole, tra cui Spoor (o Pokot, 2017) vincitore a Berlino dell’Orso d’Argento.
Negli USA, la Holland si è accostata alle serie tv, dirigendo episodi di: The Wire, Cold Case, House of Cards, The Affair e la miniserie Rosemary’s Baby.
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