Domenica, 31/03/2019 - E' scomparsa due notti fa: se ne è andata dolcemente, gentilmente, quasi timidamente.
Ma ha lavorato fino all'ultimo come una giovanissima, una ragazza dalle mille risorse artistiche che tutte ha applicato, fin da quando iniziò come fotografa con Jean Vilar, l'anima stessa di quello che sarebbe divenuto, in seguito, il Festival di Avignone.
Stiam parlando di Agnes Varda, regista, sceneggiatrice, poetessa - poetessa nell'anima, nelle immagini, nel modo di considerare l'esistenza, l'umanità e le donne.
Chi scrive ha avuto la fortuna di vederla da vicino, seppur brevemente e di sentirla parlare, ad una Mostra Internazionale del Cinema di Venezia di pochi anni fa, dove aveva presentato un piccolo corto saggio di poesia visiva, bucolica ed elegante, ad un tempo, LES 3 BOUTONS, gioiellino pieno di sentimento, non certo di buonismo, nel nome dell’Amore – perdere 3 bottoni significa realizzare 3 desideri - quello stesso Amore che par sempre di leggere in ogni sua opera, quello per suo marito, l’altrettanto grande cineasta scomparso da tempo, Jacques Demy.
Nata ad Ixelles, allora sobborgo di Bruxelles, da padre greco e madre francese, con il nome di battesimo di Arlette, ha raccontato nei suoi film le complessità dell'animo femminile e dei rapporti di coppia.
Undici lungometraggi e 20 documentari.
Il suo primo film, La pointe courte, risale al 1955: girato con pochi mezzi, vede come protagonista un giovane Philippe Noiret ed Alain Resnais al montaggio
A seguire, opere di rara bellezza come Cleo dalle 5 alle 7 (1962), un dramma tutto al femminile, un b/n favoloso, a significare ancor più l'angoscia e gli stati d'animo di una giovane donna forse malata di cancro - una 'quasi' anticipazione del molto più tardo La morte en directe, di Tavernier del 1980 - e poi Le Bonheur (1965) che ottenne un premio a Berlino, Les Creatures nel ‘66.
E gli Anni 70 in cui riesce ad imporre per sempre la sua arte, lo strano quanto vitale sodalizio con Jane Birkin che la portò a girare Jane B. par Agnes nel 1987 e i tre film dedicati al suo unico grandissimo e mai dimenticato amore - è giusto ribadirlo - il marito regista Jacques Demy, conosciuto nel '58, padre di Mathieu (la regista ha un’altra figlia, Rosalie) e mancatole nel 1990.
A lui dedicherà ben tre film.
Nel 1965, con Il verde prato dell'amore, aveva ottenuto l'Orso d'argento, gran premio della giuria al Festival di Berlino.
Vent'anni dopo un nuovo successo: Sans Toit Ni Loit (Senza tetto né legge) si aggiudica il Leone d'oro alla Mostra del Cinema di Venezia 1985. Forse il suo film più conosciuto, è una storia di disperazione ed abbandono che ripercorre gli ultimi giorni di vita di una vagabonda, interpretata da una Sandrine Bonnaire agli esordi - ora pure lei regista - che per il ruolo ottiene anche un prestigioso César, l'Oscar francese.
Nel 2015 le fu assegnata la Palma d'Oro alla carriera al Festival di Cannes e nel 2018 l'Oscar alla carriera.
Premi e riconoscimenti non son mancati alla regina regista della Nouvelle Vague - l'unica: un titolo che lei non amò poi molto, nonostante l'amicizia e la collaborazione, nel tempo, con Godard e Truffaut.
Forse, non a caso, nel documentario Visages villages (2018), realizzato insieme all'artista francese JR in una sorta di road movie artistico, dà una piccola 'stoccata' a Jean - Luc (Godard, appunto), inserendo la sua presenza-assenza nel film. E questo non è certo il suo ultimo lavoro perché Agnès, infaticabile, al festival di Berlino, a febbraio scorso, aveva presentato Varda par Agnès - Causerie, una specie di testamento spirituale: il docu di una narratrice affascinante che affabula della sua esperienza come regista, portando una visione personale di ciò che lei chiamava - un po' come Marguerite Duras - 'cine-scrittura'.
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