‘Giulia mia cara! Giorgio’: teatro e cinema nella connessione tra arte e vita
Il bel documentario di Maria Mauti, presentato alla Festa del Cinema di Roma, racconta la grande attrice Giulia Lazzarini ed il suo carteggio con Strehler. L’intervista alla regista
Mercoledi, 30/10/2024 - Presentato in anteprima al Maxxi, nella sezione Freestyle della Festa del Cinema di Roma 2024, il documentario ‘Giulia Mia Cara! Giorgio’, della regista e autrice Maria Mauti, offre un ritratto inedito di Giulia Lazzarini, una delle attrici più importanti nel panorama italiano.
Nata a Milano nel 1934 e formatasi artisticamente a Roma, al Centro Sperimentale di Cinematografia dove si è diplomata in recitazione, Giulia Lazzarini è un’attrice iconica per tutti coloro che amano il teatro, avendo interpretato moltissimi ruoli con i più grandi registi ed avendo ottenuto numerosi riconoscimenti anche al cinema ed alla televisione.
Il film, prodotto da LADOC e FILMMAUTI, in collaborazione con il Piccolo Teatro di Milano - Teatro d’Europa e con il sostegno di Intesa Sanpaolo, racconta la messa in scena di uno spettacolo dedicato alle lettere inviate da Giorgio Strehler, regista di fama internazionale, alla sua attrice icona e da lei stessa lette ed interpretate.
‘Giulia Mia Cara! Giorgio’: così iniziano e finiscono le lettere che Giorgio Strehler scrive all’attrice Giulia Lazzarini, prima o dopo uno spettacolo. Le ultime raccomandazioni, gli ultimi cenni d’attenzione, amore e paura per i suoi attori. Poi Giulia resta sola in scena, lei e i suoi personaggi. Il film parte da questo dialogo elettivo tra il regista e una delle attrici più importanti nel panorama italiano.
“La relazione consolidata negli anni con Giulia Lazzarini - racconta la regista - mi ha regalato l’accesso al luogo protetto e inesplorato della casa. Il cinema mi permette di straformarlo in una scenografia impeccabile e lavorare così sul confine tra documentario e finzione, realtà e creazione. La camera da presa entra come presenza dichiarata in questa quotidianità, in cui Giulia come attrice è chiamata a interpretare sé stessa, nel suo spazio intimo, spazio di prove e di lavoro dove traspira la vita. Il film può mostrarci questo lato interiore dell’attrice, quello che mi affascinava fin dalla prima idea. Questa ricerca segna il desiderio per me di provare ad avvicinarsi a qualcosa di nuovo e sconosciuto che è la premessa di tutto questo lavoro, qualcosa che appartiene solo a Giulia".
Giulia è donna di teatro. Il teatro è la sua vita. Il film racconta la prova dietro le quinte della lettura delle lettere di Strehler, un materiale filmico potente con cui fare un ritratto intimo e profondo di lei attraverso le parole del suo maestro. Insieme alle lettere Giulia torna a dare vita a frammenti di monologhi memorabili, a cui il carteggio fa riferimento: Beckett, Shakespeare, Jouvet, Ginzburg e Brecht.
‘Il teatro è la parabola del mondo’: le scrive Strehler. Seguendo Giulia in prova per la prima volta nella sua casa e poi al Piccolo Teatro di Milano - Teatro d’Europa, il racconto si centra su questa connessione tra arte e vita, alla ricerca del segreto del suo mestiere e della sua misteriosa capacità di interprete nel rappresentare l’essere umano.
Un film che mette al centro le passioni umane, collera, amore, dolore, gioia, pietà, odio, tenerezza. Un invito alla vita appassionata, il teatro come un ammaestramento ai valori dello spirito, della poesia, del lavoro buono, della ragione dell’uomo contro la barbarie, la follia e la crudeltà in un’epoca a rischio di oscurantismo, come scrive Strehler.
Intervista a Maria Mauti
Com'è stato il tuo incontro con questa attrice cult della nostra infanzia, conosciuta e amata dai nostri genitori perché faceva teatro anche in televisione…Come l'hai incontrata e come hai deciso, insomma, di fare questo documentario su di lei? Quando ho deciso di fare il film, ho scoperto dopo che era una grande star della televisione. Sì, perché tutti mi raccontavano di questi sceneggiati come Casa di Bambola, i Miserabili, con cui in effetti io apro il film, perché mi piaceva vedere Giulia giovane e in televisione, questo connubio… In realtà io la conoscevo per il teatro, ho sempre avuto un grande amore per il teatro, mi sono formata a Milano, ho studiato filosofia, però, contemporaneamente, facevo teatro, ricerca, teatro proprio di ricerca.
La mia tesi è stata su Peter Brook e Hannah Arendt, facevo tanti laboratori, facevo degli spettacoli off. Avevo un grandissimo amore per il teatro e, in quegli anni, tra l'altro, Milano era incredibile, perché arrivavano spettacoli meravigliosi che mi hanno veramente fatto innamorare. E quindi ho visto anche Giulia, l’ho vista un po' più tardi, diciamo, l'ho vista nel Faust, quindi non questi spettacoli storici che poi arrivano nel film, però la conoscevo e me la ricordavo bene. Nel Faust faceva una parte, come dire, molto lontana da quello che ci immaginiamo da una figura come la sua, no? Minuta, elegante. E poi l’ho conosciuta quando stavo lavorando per il mio film ‘L'amatore’, su Piero Portaluppi.
Il tuo primo film, vero? Sì, il mio primo lungo per il cinema. Avevo lavorato molto per questo canale di Classica HD di Sky, facendo tantissimi ritratti, che è stato anche il modo in cui io ho imparato il mestiere. Però poi avevo questo desiderio di fare un salto, perché poi, alla fine, la televisione, quella televisione lì è sì una televisione di cultura, ma che ha degli schemi, ha dei tempi ben precisi. Invece ‘L'Amatore’, forse anche al contrario, ci ho messo tantissimo a farlo: voluto dal suo bisnipote Piero Maranghi, che era il direttore anche di Classica, con questo archivio meraviglioso, inedito. Insomma, un lavoro lungo che poi però è andato bene, anche fuori dalle mie aspettative.
Comunque il testo narrante era stato scritto da Antonio Scurati e io cercavo la voce per questo testo. L'ho cercata dopo che il film era finito, perché pensavo che il film dovesse essere fatto a tappe, molto organico. E mentre cercavo mi è venuta in mente Giulia, perché avevo visto che aveva lavorato in ‘Mia madre’ di Moretti, quindi ho detto, ah Giulia non è attrice solo di teatro, ma anche di cinema. Tra l'altro ha vinto un Donatello con quella interpretazione. Ha fatto dei cammei come in tutti i film dove partecipa e dove forse, credo, non è mai stata protagonista di un film, ma dove entra lei comunque lo diventa in qualche modo, pur essendo un personaggio fra gli altri.
Allora ho detto, perché quando si lavora con il cinema, e ancora di più in un documentario, l'avvicinarsi a un attore di teatro spaventa sempre un po', anche nella sua grandissima bravura, perché sai che devi sempre andare a ridurre, perché se no diventa troppo ‘grande’. Però ho avuto l'occasione, lei ha subito aperto la porta, perché Giulia è una grande lavoratrice, quindi non dice no di principio.
Poi era un film su Milano, che è la sua città, quindi abbiamo visto insieme il film, che era già montato, e lei riconosceva i luoghi, perché il film si svolge anche durante la guerra, che è un periodo che Giulia ha vissuto, si ricorda bene anche emotivamente, cosa voleva dire scappare, per le sirene, e quindi, mentre lei mi commentava il film, ho capito che era lei il personaggio, perché non era solo una ‘voice-over’, ma era proprio un personaggio, e così abbiamo lavorato insieme.
Giulia nella sua grande umiltà mi ha detto: “Maria se vuoi proviamo, se poi non ti piace non lo usi”, e anche questo…adesso gli attori sono molto attenti, invece lei si è posta con grande generosità, e abbiamo fatto questo lavoro, in cui lei è arrivata preparatissima, e io lì ho visto, dietro, ho visto il lavoro che lei mette nel mestiere, che è quello dei segni, degli accenti, quindi è arrivata con un testo che era una partitura musicale.
Parliamo un po' di queste lettere, di queste lettere che Giorgio Strehler scrive a Giulia, e di questa loro relazione affettiva, immagino nel senso ampio del termine, e professionale, di questa empatia che esisteva fra loro… Allora prima di tutto dobbiamo pensare che quello di queste lettere è un carteggio unilaterale, cioè Strehler scrive a molti dei suoi attori, scrive anche queste lettere a Giulia, che per me avevano rispetto ad altri, o comunque rispetto a questo personaggio, avevano un potenziale di senso proprio, cioè quello che lui dice va molto al di là di un rapporto personale tra di loro, quindi sono unilaterali, sono lettere a cui Giulia non risponde mai, e quindi era anche interessante che lei le interpretasse, perché era in qualche modo una maniera per rispondere a queste lettere.
Hai saputo perché non le rispondeva? No, ma lei le dava del ‘lei’, lo chiamava dottore, c'è sempre stato questo rapporto, il maestro, un grande rispetto, un grande affetto, io ho riscoperto il senso, attraverso questo film, il senso di alcune parole, come ‘amore’, di queste parole che un po' noi abusiamo, ci sembrano retoriche, invece in quel modo di fare il teatro, quando il teatro è fatto con un certo amore, dice Strehler, diventano vere quelle parole lì, e quindi queste lettere sono piene di questa verità, di questi sentimenti fra loro, sempre professionali, sempre artistici, appunto con questa distanza.
Quando ho dovuto decidere come raccontare questo mestiere che avevo visto nella partitura lavorata da Giulia del testo di Scurati, ho pensato che le lettere fossero il modo migliore, perché lui le dice delle cose, poi la conforta e la riprende anche, sono molto complesse, e poi, non so come nella lettera dei giorni infelici, dà una sua visione del mondo, cioè parlando a Giulia del personaggio, lui dice qual è la condizione umana, secondo lui, e questo ha una forza, cioè la lettera esplode, non sono solo le parole tra due artisti che lavorano insieme, e quindi ho capito subito che quella poteva essere l'ossatura della sceneggiatura, anche a volte in disaccordo con Giulia, perché per lei quelle lettere sono anche un materiale personale, però io ho cercato di trasmetterle che quelle lettere in realtà vanno molto al di là di questo rapporto personale, e l'ho convinta che era l'unica che poteva leggerle.
Sei stata molto brava, perché è vero, comunque era una persona coinvolta, era parte della sua vita… Lei mi diceva ‘Ma come faccio a leggere delle parole che lui dice a me, come sei brava, eccetera’… Giulia che comunque ha un pudore… è una donna anche di un'altra epoca, però lei sa il valore di quelle lettere. Lo abbiamo anche condiviso con la fatica di metterlo in scena. Giulia non le legge con malinconia. Io ho dato un taglio teatrale alle lettere, in modo che lei potesse avere una distanza.
Senti, tu che l'hai frequentata per fare questo documentario, molto bello, che donna è secondo te Giulia Lazzarini? Io mi sono molto legata a lei prima del documentario. C’è stata un’affettività… nel senso che il film viene anche dal rapporto che abbiamo creato, un rapporto per me molto forte. Lei è una donna apparentemente, appunto, come dicevo prima, per il suo aspetto, minuta, Strehler le dice ‘come sei eternamente piccola’, che vuol dire anche infantile, sottile, delicata. Però in realtà con una forza incredibile: c'è un estratto di Madre Coraggio a Sarajevo di Brecht rivisitato da Strehler dove abbiamo messo il finale in cui lei, come personaggio, viene fuori con una grande crudeltà …Un personaggio inaspettato che è molto attuale, una donna che ha perso tutti i figli e vuole comunque usare la guerra per fare i commerci. E Giulia lì tira fuori un'anima che non ti aspetti. Quindi io credo, quello che io ho scoperto è che sicuramente gli anni gli hanno dato una esperienza di essere umano, perché lei con questa esperienza riesce a entrare in tutti i tasselli e quindi a raccontarci nella sua completezza l'essere umano in tutte le sue passioni e in tutti i suoi lati anche oscuri. Questo credo che riguardi la sua umanità il suo essere un certo tipo di donna profonda e completa.
Grazie. Qual è secondo te l'attualità, in generale per gli spettatori tutti e in particolare per le donne, del tuo documentario e di quello che tu stai trasmettendo attraverso di lei nel qui ed ora? Allora Giulia è una donna che ha iniziato tra l'altro qui a Roma la scuola di cinema e poi mi aveva raccontato che le avevano fatto dei provini per il cinema e in uno di questi provini le dicono ‘adesso tutte le ragazze si possono alzare un po' la gonna?’ e lei ha detto ‘io non posso fare il cinema perché hanno bisogno di donne più spregiudicate di me’ e con questa diciamo convinzione secondo me con questo valore di se stessa lei è andata avanti tutta la sua vita e quindi ha fatto sempre delle scelte precise. Anche questa dedizione a Strehler alla fine è stata una scelta, che è stato un valore ma anche la rinuncia ad altre possibilità con questo rigore suo nel lavoro… e questo film mi interessa anche che sia a partire da una donna, da un'attrice anziana, perché queste persone hanno tanto da comunicare e io credo che questo film, io in qualche modo sono stata anche testarda nel volerlo fare, perché sentivo che avevo un messaggio urgente che ha proprio a che fare con questo….perché parla a noi che abbiamo più di 50 anni e che abbiamo la responsabilità di avere una memoria, di portare avanti una memoria ma parla anche a quelli che costruiscono il futuro perché come dice dentro il film nel prologo, la passione teatrale, Strehler dice - e questo è un po' il messaggio del film - è una difesa dei valori dello spirito del lavoro buono, della poesia contro la barbarie e contro ogni mancanza d'amore (anche qui dice perché lo spettacolo era ambientato durante la seconda guerra mondiale).
Oggi questo messaggio mi sembra di un'attualità incredibile anche per le nuove generazioni che magari non conoscono Giulia Lazzarini non conoscono Strehler o il pubblico più ampio che non li conosce ma, attraverso questo ritratto fatto di tanti tasselli, possono riflettere anche sul peso politico che queste parole dei testi, questo modo di lavorare di fare il lavoro ‘buono’ io penso che ha un grande senso oggi.
Come regista donna hai avuto difficoltà a portare avanti i tuoi progetti e ti ritrovi in questa visione del lavoro buono e che forse è anche il più difficile da fare? Io sono la quarta dopo tre fratelli maschi quindi sono cresciuta in un mondo fatto di uomini e quindi in qualche modo non ho quasi mai voluto vedere che ci fossero delle differenze, che so che ci sono, ne sono consapevole, e soprattutto nel mio mondo dove a volte è proprio il ruolo che ho io che è un po' un ruolo non di potere ma di direzione, la visione ce l'ho io, ho bisogno di collaboratori che mi aiutino a realizzarla – e che per me sono fondamentali - però so che a volte è difficile dirigere e farsi dirigere da una donna, però è come se non volessi neanche mettermi in quel pensiero, quindi io vado avanti decisa con la mia visione.
Il lavoro buono credo che soprattutto sia quello di recuperare il tempo per farlo: a volte - e questo lo dico perché i film indipendenti come questo fanno anche troppa fatica a venire fuori - ci sarebbe bisogno di più supporto per questi film però nello stesso tempo ti danno anche quel tempo di lavorare bene, io penso che veramente il concetto del tempo è un concetto che dobbiamo recuperare perché la velocità toglie qualità e io mi ci trovo bene in questa ricerca, in questo tentativo di andare in profondità.
Maria Mauti Nasce a Milano nel 1974 e si laurea alla Facoltà di Filosofia con una tesi su “Teatro e politica. Elogio dell’azione’ sulle figure di Peter Brook e Hannah Arendt. Si forma come regista con gli attori di Brook e Grotovski, collabora con il CRT di Milano e consegue un Master sul Documentario creativo all’Università Pompeu Fabra di Barcellona. Dal 2003 collaborare nelle produzioni di musica, opera e danza per la piattaforma Classica HD di Sky. Come regista e autrice dirige documentari su Daniel Barenboim, Carolyn Carlson, Pina Bausch, Bill T. Jones (documentario selezionato all’American Dance Festival), José Saramago e Azio Corghi, Fabio Vacchi e Ermanno Olmi, Alicia Alonso del Ballet Nacional de Cuba, Virgilio Sieni, Meredith Monk e molti altri. In queste occasioni collabora con La Scala di Milano, il Teatro La Fenice e la Biennale Danza di Venezia, il Teatro Colón di Buenos Aires, l’Auditorium de la Musica e il Museo Maxxi di Roma, il Teatro Grande di Brescia per il quale realizza nel 2013 il documentario ”Memorie”. Il suo precedente lungometraggio, “L’Amatore”, è un viaggio nelle pieghe intime di uno dei più importanti architetti italiani degli anni ‘20 e ‘30, Piero Portaluppi e la sua epoca. Scrive Antonio Scurati il testo narrante, interpretato dalla voce di Giulia Lazzarini. Il film è stato presentato in prima mondiale al Festival di Locarno, poi all’IFFR International Film Festival di Rotterdam e al BAFICI di Buenos Aires. Nel luglio 2024 Mauti ha debuttato come regista nell’opera lirica al Macerata Opera Festival con NORMA di Vincenzo Bellini, messa in scena nello straordinario palcoscenico dello SFERISTERIO, opera poi andata in onda a settembre in una versione televisiva su Classica HD di Sky. Con la casa di produzione Oberon ha realizzato il lungometraggio “MIRALLES” su uno degli architetti più innovativi dell’ultima generazione spagnola, Enric Mira-lles, riconosciuto a livello internazionale e presentato a breve nei Festival. Contemporaneamente esce il film sulla grande attrice italiana Giulia Lazzarini “GIULIA MIA CARA! GIORGIO” prodotto con Ladoc e presentato alla Festa del Cinema di Roma.
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