Mestieri: l'arrotina - "Spiegare il mio lavoro è semplice: arroto in maniera tradizionale forbici, coltelli e articoli da taglio"
Donatella Orioli Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Marzo 2007
Nel passato le donne diedero vita a quello che fu definito “femminismo domestico”, rivendicando una maggior autonomia nelle scelte importanti per la propria vita. Successivamente vollero svolgere gli stessi mestieri e le stesse professioni degli uomini, sostenendo di essere completamente in grado di fare ciò. Nonostante il famoso psicologo S.Hall ritenesse le donne incapaci di svolgere attività pari a quelle degli uomini perché affette da deficienze psichiche che ne avrebbero limitato le capacità cognitive, i risultati hanno dimostrato l’infondatezza di quelle teorie, superando sia la diffidenza che l’opposizione. Attraverso il nostro giornale vogliamo evidenziare questo importante traguardo, con la testimonianza diretta di alcune, tra le tantissime donne, che hanno vissuto direttamente questi percorsi, cominciando da uno dei mestieri sicuramente più maschili: l’arrotino
Franca Compostella: arrotino?
Si, sono arrotino da oltre vent’anni. Un mestiere tipicamente maschile ma che svolgo con passione, con soddisfazione ed anche con un po’ di orgoglio. Spiegare il mio lavoro è semplice: arroto in maniera tradizionale forbici, coltelli e articoli da taglio. Ho mantenuto la bottega come era alla fine dell’ottocento, relegando nel retro le attrezzature più moderne. Mi piace coltivare tutto del mio lavoro e quindi colleziono anche quadri che raffigurano i vari momenti di questa attività. Questo filo conduttore tra passato e presente, storia e cultura, incuriosisce molto le scolaresche che sovente fanno visita alla mia bottega.
E’ d’obbligo una domanda forse un po’ scontata: quali sono i motivi di una scelta così particolare?
I motivi di questa scelta sono vari e si intrecciano in modo tale che mi è difficile stabilire quale possa essere il più importante, ne’ mi sembra giusto spezzettare la mia vita in tanti particolari; preferisco apprezzare il risultato nella sua complessità. Dopo alcune importanti esperienze lavorative, all’età di 30 anni, ho deciso di cambiare radicalmente la mia vita. Il desiderio di avere un figlio, l’esigenza di una maggiore autonomia personale, associati ad alcuni problemi nella mia famiglia d’origine, mi hanno stimolato ad approfittare dell’occasione che mi si presentava: subentrare all’azienda di mio padre. Detto, fatto. Sicuramente in modo un po’ avventato e forse con un po’ di incoscienza, ma con estrema fiducia di farcela e senza dubbio con tanta determinazione.
Quali sono state le reazioni dei suoi familiari e dei clienti?
I miei familiari li potrei definire degli antesignani delle pari opportunità perché hanno preso la mia decisione con tanto entusiasmo. L’idea di continuare il mestiere di famiglia è stato naturalmente motivo d’orgoglio.
Per quanto riguarda le altre persone, devo convenire che non ci sono stati grossi problemi sul fatto che ero donna, se non le classiche perplessità, ma da subito hanno preteso la professionalità e quindi la qualità del lavoro.
Quali difficoltà ha invece trovato lei nel lavoro?
In primo luogo imparare bene il mestiere e contemporaneamente gestire correttamente l’impresa assieme a mio fratello. Questa è stata la parte più difficile, perché tutti i giorni si è sottoposti alla valutazione del cliente. Sbagliare non è difficile; recuperare è molto impegnativo.
A queste difficoltà, si sono aggiunte quelle più grandi in particolare l’armonizzazione con la mia vita. Che lavorare richieda impegno e fatica è un dato normale e comune a tutte, ma fare l’artigiana implica qualcosa di più. La mia esperienza personale deve essere contestualizzata temporalmente agli anni in cui non c’era alcuna tutela della maternità, quando invece per tutte le lavoratrici dipendenti era un giusto diritto acquisito, non c’erano posti agli asili nido, la cura degli anziani non era certo una priorità e tante altre cose.
Tutto ciò mi ha stimolato ad impegnarmi a tutto raggio, non solo per la mia impresa, ma anche per le imprenditrici in generale e quindi, attraverso le Associazioni di categoria, ho cercato di contribuire alla valorizzazione e alla specificità dell’imprenditoria femminile per creare un livello di sintesi più alto per tutti.
La sua esperienza mi sembra uno stimolo importante soprattutto per le nostre giovani lettrici, sia dal punto di vista personale che sociale. A questo proposito tra pochi giorni è l’ 8 marzo, festa delle donne. Riscontriamo diverse scuole di pensiero sulla necessità di “festeggiare” questa data, cosa ne pensa?
Per me è una festa molto cara e sempre più attuale. Penso alle donne bruciate vive perché chiuse a chiave nel posto di lavoro (fatto all’origine della nostra festa) e alle donne immigrate vittime di tante schiavitù, all’escalation delle violenze sulle donne, ai modelli di realizzazione proposti. Non è forse ora di sconfiggere queste aberrazioni invece di sconfiggere l’8 marzo?
Ritengo che insieme si possano ottenere ancora molti risultati e si possa cambiare la nostra cultura ultimamente un po’ annebbiata.
Allora potremo veramente festeggiare…..alla grande!
(15 marzo 2007)
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