Ho avuto già il piacere d’intervistare la poetessa e pittrice Adriana Centi nella sua piacevole casa romana, in occasione d’alcune mie note al suo primo libro di poesie. Ora c’incontriamo per parlare della sua seconda silloge, “Barche di carta tinte d’inchiostro”, che ha presentato al pubblico dell’Associazione “Il Gabbiano Felice”, nel corso di un pomeriggio condotto da Giovanna Previti, Raimondo Venturiello e Rodolfo Vitto, il giorno 11 dicembre al Teatro Sette di Roma.
Nell’introduzione, il poeta Nonio Baeri, presente al pomeriggio, afferma che in questa seconda raccolta “c’è un approfondimento tematico che ci coinvolge sin dall’inizio, raccontando storie vissute da personaggi veri, rinunce, oppressioni, violenze che l’occhio, prima svagato, poi partecipe intuisce e denuncia”.
Adriana, cominciamo dal titolo: esprime un’idea di precarietà. Quale é la fragilità del Poeta?
L’eccessiva sensibilità.
Nella nuova raccolta si nota un aumento della musicalità e delle coppie aggettivo-sostantivo, come in Baudelaire, che reggono i versi.
Per esempio, l’acqua salmastra, novello Adamo puro, stanca naufraga ecc, non sono effetti cercati, mi vengono naturali e spontanei.
Nella sezione Paesaggi l’occhio osserva ed è “buono”, in quell’intitolata Riflessioni l’occhio medita ed è “cattivo”. Perché?
Guardo la Natura con occhi benevoli, anche se può essere violenta. Accetto la violenza nella natura, ma non quella dell’uomo. La vita mi ha insegnato che un abbraccio e una carezza possono esprimere tenerezza, ma possono trasformarsi in violenza.
Come nella prima raccolta, umanizzi la Natura.
Accomuno l’uomo con la natura e la natura all’uomo: per questo la pietra è tenera, lo scoglio è torvo. La pioggia ed il vento hanno voce, dicono, ci parlano.
Biscotti e cioccolata sembra una poesia crepuscolare, alla Gozzano.
Penso di aver descritto la gioventù così com’era per me e com’è oggi.
C’è molta ironia nel cane che abbaia al busto di benemerito cittadino arrogante.
Io vedo la scena nella poesia Nel parco, c’è il busto, ma non il cane, il cane è una mia invenzione, forse sono io che mi sono messa al posto del cane, inconsciamente.
Ritorna il tema del fluire del tempo.
In Requiem, Tenero l’addio ecc esprimo ciò che da sempre, fin da piccola, ho pensato: che siamo di passaggio sulla terra.
Assenza, solitudine, addio, tre temi molto presenti nella raccolta.
Sono i buchi neri che si formano (Brivido). La solitudine per me non è mai negativa, è vitale. Solo il cane può fare compagnia perché è vicino all’umano ed è fedele. Il gatto no, per esempio, perché è più interessato. Il nido è vuoto: non ho mai formato una famiglia, però m’immedesimo, altrimenti non potrei scrivere: lo sposo e la sposa volano felici, se ne vanno, lasciando vuota la casa dei genitori. Studio la vita. Come può essere una casa prima piena di vita, dove prima c’erano i figli, poi va via il marito, rimane la donna, e quando andrà via anche lei, rimarranno solo i mobili antichi? Sento la situazione, appropriandomi dell’emozione, prima che accada. L’addio non è solo quello della morte, può essere un rapporto che non si è potuto realizzare, per esempio con un uomo.
Mi parli della stesura delle tue poesie?
La prima parte – l’ispirazione - mi viene di getto, mi viene un’emozione ed io la catturo immediatamente. Poi posso anche lavorarla, per esempio cambiando la disposizione delle parole, ma prima di tutto devo sentire il suono.
C’è un’alternanza delle parole suono, voce, rumore e silenzio.
Ognuna ha la sua dimensione: la voce è di tutti, anche della Natura, il silenzio mi piace perché è dolce, il frastuono della discoteca, della macchina, della motocicletta mi procura un fastidio immenso. Accetto il rumore solo se appartiene alla Natura.
Questa raccolta copre un arco breve di tempo, non è vero?
Sì, ne fanno parte anche tre o quattro poesie che avevo accantonato e che ho inserito dopo averle rimaneggiate. Non si fa sempre poesia, ora, per esempio, dopo il libro appena pubblicato, mi sento come svuotata. Ho buttato giù tre o quattro cose, a Tagliacozzo, perché evidentemente c’é più natura, ma non so se sono cartoline o poesie.
Che mi dici dei disegni che accompagnano le poesie?
Ho inserito quelli che avevo, ma per gli altri che mancavano e che necessitavano per completare la silloge, ho faticato moltissimo, perché quando non ho voglia di fare una cosa, non ci riesco. Vale anche per la pittura: se dipingo perché lo devo fare, allora mi costa fatica, quasi che non riuscissi a fare, poi m’impegno, ma controvoglia. Penso di non pubblicare più altri libri, al massimo un sedicesimo. Sono contenta molto della mia seconda silloge che mi ha dato già molte soddisfazioni. Ora invece desidero dipingere.
Parliamo anche dell’ultimo quadro d’Adriana: come il solito, non ha un titolo, rappresenta una donna di paese che si dirige verso il fiume. “Ho preso l’ispirazione della donna da un libro che mi è stato regalato, mi ha colpito l’idea di queste figure femminili che si dirigono verso il fiume. Mi sono fatta un’idea e poi l’ho resa come volevo”.
La conversazione è rilassata e vivace, Adriana mi legge anche poesie giovanili scritte in dialetto, veramente gustose. Chiedo a Adriana se non ha mai provato a scrivere in prosa: “Forse favole…” risponde.
Tra prosa e poesia. Giudicate voi…
Berto e il tordo
Berto con un quattro nel quaderno per i campi se n’andava sconsolato, quando a terra vide un tordo ferito ad un’ala. Con amore lo raccolse nel palmo della mano, percepì tutto il suo dolore. Ne ebbe pena, in fretta dal quaderno tolse un foglio e ne fece un’ala nuova, certo un po’ bizzarra, così di carta quadrettata, ma l’uccello felice cantando riprese il volo. Alla sua coda chiese in prestito una penna e, dove il cielo è più turchino, lasciò scritto: “Bimbo per te quassù c’è un dieci e lode”!
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