Non colpisce immediatamente la fantasia di chi guarda, l’immagine del faro? E’ così per l’ultimo quadro della poetessa-pittrice Adriana Centi. Insolita per lei l’ispirazione, un faro appunto, che evoca l’immensità del mare ed un sentimento di protezione nonché di solitudine.
Non si può non ricordare la scrittrice Virginia Woolf che del gigante notturno ha fatto il protagonista del celebre romanzo del 1927, Gita al faro. Se è vero - ed è vero -, come lei dice (1), che “le impressioni formate in certi momenti durano per sempre”, la sensazione immediata che suscita la tela di Adriana Centi è di gioia e di pace ed è questa la sensazione che prevarrà e rimarrà in chi la guarda. Il faro non sorveglia tempeste e naufragi, ma un universo aperto e disponibile appena abitato da pinne di pesci ed ali di uccelli non meglio identificati. Una barca pronta a partire, ma ancora lontana dalla riva, occhieggia nascosta…Adriana stessa confessa in un’intervista che mentre gli altri, i gabbiani, per esempio, viaggiano di giorno, la barca, che rappresenta l’uomo, aspetta la sera, la luce del faro per partire, il momento per lasciare la vita ed affrontare la morte.
Aggiunge ancora Virginia Woolf che “il faro era anche qualcos’altro. Perchè non v’era nulla di semplice, di singolo”. Il faro della Centi non è un’immagine semplice, ad esempio, esso è, secondo una sua stessa definizione, “una luce nell’infinito”. Luce. Di luce si tratta sempre nei dipinti di Adriana, luce che lei ricerca con pervicacia, con puntiglio attraverso pennellate di colore sovrapposto. Fate la prova: avvicinate la tela alla finestra, uscirà una luminosità inaspettata, nuova, nascosta, anzi più di una, secondo l’ora del giorno ed il vostro stato d’animo. Il colore cerca profondità, buca la tela e va oltre. Anzi, alla luce, emergeranno colori sempre diversi: se da lontano percepite un blu oltremare chiaro ed un verde intenso, da vicino e alla luce scoprirete che al blu s’affiancano un giallo ocra, un leggerissimo viola ed al verde pennellate di brillante celeste, di terra d’ombra bruciata e di rosso. E chissà cos’altro ancora…I colori brillano come lacche cinesi, come lucide superfici smaltate…
Il faro è “la divinità” di Adriana e il quadro che lei offre all’ammirazione degli spettatori conferirà loro la gloria di esercitare momentaneamente la propria divinità, cioè “la divinità della luce”, la stessa cercata dagli Impressionisti.
L’unica macchia di colore acceso, il rosso, è quello della barca, ma non è un caso. Il rosso è intensità e pienezza di vita, impulso all’azione, forza della volontà. In compagnia di questo cielo terso e senza nuvole, la barca piena di vigore potrà affrontare il viaggio - fosse anche l’ultimo - in un mare calmo e privo di nefasti presagi, con gioia avendo come guida la luce offerta dal faro e dall’immortalità dall’arte.
“Il faro grandeggia, dritto e nudo, abbagliante di bianco e nero; e già si vedevano le onde rompersi contro gli scogli in schegge bianche, come di vetro in frantumi” (2): tali sono le descrizioni dei fari, non presentano sorprese. Ma nel dipinto della Centi c’è una fuga d’inquietudine metafisica già notata in altre sue produzioni e che la rendono attenta protagonista del presente.
Quelle strette fessure - quasi feritoie - indicano una chiusura, un desiderio di protezione, di voler salvaguardare i propri sentimenti senza rinunciare ad offrirsi al mondo. Mistero, profondità insondabili, universi sconosciuti si vivono nelle radici di questo saldo faro.
Chi scrive ha tradotto nei seguenti versi le emozioni suscitate dalla contemplazione prolungata della tela:
Celeste scacchiera
Nobile pedone,
sull’unica scacchiera
di cielo e mare,
giochi la tua solitaria partita
offrendoti
agli attacchi di guerre e tempeste.
Ermes
messaggero di notturni
sguardi luminosi,
guardiano infaticabile,
custodisci le verità insondabili
dell’oceano dell’animo umano
Come il Poeta,
fiero contro flutti nemici,
speri di difendere la parola
- tua Regina -
e d’impedire lo scacco.
(1) (2) Virginia Woolf, Gita al Faro, Garzanti, 1965, pag. 117, 224
Lascia un Commento