La gerstazione per altri, l'etica, i dubbi e le posizioni dei femminismi
A Bologna una coppia felice di uomini che si sono sposati negli Usa e hanno voluto due figli, due bambine di 5 e 2 anni, hanno avuto difficoltà per far registrare il matrimonio americano, poi - ed è un caso eccezionale che fa giurisprudenza - per adottare le figlie. In un primo tempo il certificato di nascita è stato trascritto con il nome del padre biologico: le bambine hanno quindi un padre, ma non sono sorelle. La battaglia legale ha impegnato il Tribunale dei minori di Bologna, per superare gli attuali impedimenti di legge, a ricorrere alla Consulta che ha superato gli ostacoli del riconoscimento del matrimonio tra persona dello stesso sesso e quello della genitorialità di entrambi i genitori ricorsi alla gestazione per altri, privilegiando il bene dei minori.
Perché le due bimbe ci sono e hanno diritti.
Il caso, tuttavia, riapre il problema della gestazione per altri di cui si è parlato senza concludere, perché ormai anche il femminismo evita non di “prendere posizione”, ma di verificare come le questioni complesse possano arrivare a una definizione giuridica. Se infatti deve prevalere il bene dei bambini, tanto vale sopprimere ogni formulazione sul valore o disvalore di una pratica lasciata andare avanti da sola. Che non è la tolleranza, ma l’ammissione di incapacità morale. Infatti la questione ha molto a che vedere con l’etica, quella delle donne.
Bisogna partire dai precedenti. Non è un mistero per nessuno (e nessuna) che anche cinquant’anni fa la coppia, magari anche cattolica, se sterile poteva andare in India per turismo e tornare con un fantolino di cui l’uomo si assumeva la paternità, colpevole di una trasgressione alla fedeltà coniugale. Allora anche nei paesi d’origine si riusciva ad avere l’autorizzazione.
Ma il problema non solo resta, ma è più grave. Perché non può essere più l’elasticità morale del passato che consentiva di non sentirsi in colpa verso una povera indiana che aveva già cinque o sei figli e viveva in una società in cui era peggio se moriva un vitello che non un bambino (infatti era stato così anche da noi un secolo prima). Oggi ci sono le leggi, diverse, in tutti paesi la cui cultura è ormai globalizzata: in Ucraina durante la guerra la clinica privata in cui partoriscono le madri ausiliarie ha dovuto mantenerle insieme con i neonati per l’impossibilità di essere raggiunta dai genitori che avevano prenotato il servizio. Per l’informazione l’Ucraina - l’aborto è illegale - ha l’1,3 di bambini istituzionalizzati e molti orfanotrofi hanno salvato i loro ospiti dalla guerra mandandoli “minori non accompagnati” nei paesi ospitanti per sottrarli ai bombardamenti. Altro esempio gli Stati Uniti, anche se non tutti gli Stati. Giusto monetizzare? Giusto che la madre biologica “dimentichi” oppure è giusto che resti l’amica generosa di una famiglia non “sua”? Per i maschi il problema non si pone: la paternità dopo la scoperta del dna è accertabile ma l’uomo si è sempre sentito irresponsabile: diventiamo così anche noi donne che, a differenza, se siamo vittime di una violenza e ci troviamo “in attesa” magari per disattenzione (di solito di un partner che poi dice “non sarà mica mio”) decidiamo l’aborto anche se lascia una lesione intima? L’obbligo della gratuità renderebbe il “dono” legittimo anche se il dono è un figlio di carne materna?
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