Domenica, 21/10/2012 - Nella sala Agnini del IV Municipio romano si tiene la conferenza “Adolescenti oggi” del pedagogista curativo Henning Köhler, il fondatore del Consultorio “Janusz Korczak Institut”, sito nei pressi di Stoccarda. Il Prof. Köhler, tramite conferenze, trasmette anche in Italia il pensiero pedagogico steineriano. La sua figura non passa inosservata, in nessun senso, sia per i profondi e originali contenuti proposti –i suoi libri sono tradotti in tutto il mondo-, sia per il suo aspetto gioviale e autorevole che lo caratterizza. La sala è gremita, come sempre -più di cento persone-, professionisti del settore, studenti e semplici genitori. La dottoressa euritmista Laura Pallavicini traduce in un’eccellente simultanea la conferenza sul delicatissimo tema della pubertà, tema che nell’ambito della brillante esposizione, offre impulsi di speranza per tutti, con validi suggerimenti per un futuro migliore.
Köhler inizia a parlare di una recente pubblicazione tedesca sul tema adolescenziale dal titolo “Chiuso per lavori in corso”, metafora che vuole comunicare agli adulti di non disturbare il senso di ristrutturazione che avviene durante questa fase della vita. Da recenti pubblicazioni scientifiche nel settore delle neuroscienze, afferma Köhler, tra i 12-14 anni il cervello si destabilizza per ricostituirsi nuovamente. I lavori in corso non riguardano solo l’aspetto neuronale ma animico e spirituale. E’ come se lo Spirito non si riconoscesse più nel suo territorio, proprio come potrebbe avvenire a un’automobilista che perda la conoscenza delle strade della sua città. Tale disorientamento può celare anche l’opportunità di ricostituire le brutte esperienze della prima infanzia e le strutture già formate. Continuando con la metafora del cartello dei lavori in corso, Köhler spiega come l’adolescente possa adattarsi, vivendo il dramma adolescenziale celato e mostrando all’esterno ciò che gli altri desiderino che manifesti, oppure sviluppare delle vere e proprie incomprensibili follie.
Köhler afferma che, se la pedagogia fosse basata veramente sulla psicologia dello sviluppo, dall’età di 14 anni si chiuderebbe ogni scuola, perché non è in grado di fornire ai giovani ciò che essi chiedono. Per i giovani adolescenti, infatti, sarebbe importante conoscere il mondo, viaggiare, scoprire i grandi artisti e i loro atelier, arricchirsi delle esperienze elementari nel mondo della natura, conoscere le industrie e il mondo del lavoro, e inoltre, avere abbastanza tempo per “ciondolare” l’anima, non nel senso di non far nulla, ma di aprirsi a nuove prospettive.
Il congedo dall’età infantile, come tutti i congedi, è collegato con una sensazione ambivalente e con l’inizio di un nuovo tratto di vita. I genitori e gli insegnanti si accorgono che qualcosa non va, ma spesso la crisi è nascosta dal giovane, proprio come avviene ancora per gli stessi adulti quando tentano di ricordare, nell’ambito di un lavoro biografico, la loro adolescenza. Nel lavoro terapeutico svolto dal Prof. Köhler, spesso si parte dalla crisi del figlio per arrivare a quella dei genitori. Guardando con attenzione la nostra adolescenza possiamo scoprire che non era proprio un periodo felice, di anni d’oro, ma era invece il tempo della profonda insicurezza, a prescindere dalla qualità del processo vissuto nella prima infanzia. Verso i 12 anni sopraggiunge la crisi puberale proprio come un’ombra. Tale fase, definita anche del “Rubicone”, è come se lanciasse delle ombre sull’infanzia e i temi che la caratterizzano raramente sono esternati.
Köhler, specializzato anche nelle fobie scolastiche, convocato da una scuola della sua città per una consulenza specialistica, narra il caso di un adolescente minacciato di sospensione definitiva dalla scuola per averla “marinata” 7 giorni. Köhler spiega come il ragazzo si fosse affidato agli insegnanti per lunghi 8 anni di studio e che il suo monte ore di presenze consistesse quindi in migliaia di ore di diligenza dello stesso giovane… La realtà è che con la crisi puberale si lavora proprio come con le malattie infantili: antibiotici e supposte! Ciò che occorre veramente è proprio ciò che si dovrebbe fare per le malattie infantili, cioè rafforzare il sistema immunitario del bambino. Il rischio per gli adolescenti è di finire a psicofarmaci per sedarne la ribellione! La crisi è turbolenta, ma gli adulti dovrebbero avere molta comprensione per rafforzare e sostenere veramente il giovane.
La “crisi d’identità” resta un concetto chiave della crisi puberale, con la domanda alla quale non si è in grado di rispondere: “Chi sono io”? Nella fase post moderna, afferma Köhler, si mente sull’identità dell’Io, anche nell’ambito filosofico e scientifico. Continua puntualizzando le eccessive ore settimanali di studio –almeno 38-45- a cui è sottoposto un giovane, alla stregua di un manager. Per non parlare della dispersione di tempo in altre attività che non lasciano spazio per l’introspezione. “Poter curare il dolore del mondo con una chitarra e una bottiglia di whisky era più facile”! Tra il dolore e il dispiacere dei giovani c’è la domanda del chi sono io, che si può solo percepire, senza collegare a speciali attributi o qualità. Non si tratta di narcisismo cercare una qualità in se stessi, fortunatamente riconosciuta nell’amicizia, ma una necessità. Fa bene sentirsi dire da un altro di valere, magari proprio da un amico o da un’amica. Nell’amicizia vengono celebrati dei culti, propri come nell’arte o nella musica, che si distinguono per lo stile, e ciò che si comprende nelle differenze non è spiegabile tecnicamente, perché si tratta di un “sentire conoscente”- E. G. A. Husserl-. Köhler si spiega con un esempio, cioè distinguere bene le sue musiche preferite, L. van Beethoven e di Jimi Hendrix, da qualsiasi altra senza essere un musicista.
In comune con gli artisti c’è proprio l’anima giovanile: una sorta di calligrafia della propria vita! Köhler nella relazione con gli adolescenti e la crisi suggerisce una “postura interiore”: “La postura giusta è il profondo interesse che io indirizzo alla particolarità specifica di questo giovane”. Ad esempio riguardare un album fotografico per vedere che bambino era allora, le prime parole dette e come le pronunciava, le cose che faceva, fino ad arrivare alla specificità attuale dell’adolescente. Riflettere sull’identità presenta quattro aspetti, che ogni giovane e ogni adulto portano con sé, e le differenze essenziali restano legate all’essere.
1. Ci sono giovani che lottano con la domanda: “Come vengo percepito”?
2. Altri covano melanconicamente la domanda: “Come mi trovano”? Si soffermano magari ore davanti allo specchio per capire se gli altri vedono ciò che vede il soggetto, e questo può finire col perdersi nella derealizzazione.
3. Il chi sono io è come se diventasse: “Sono io? Esisto veramente”? Cita il caso di una ragazza con le braccia sanguinanti per averle picchiate sul muro. La sua sensazione iniziale era di non essere vista, udita, i rumori si allontanavano dalla periferia fino a non sentire di esserci. Picchiare le braccia al muro le faceva sentire di esistere nuovamente. Lo scontro con la materia porta alla relazione corporea.
4. Infine: “Sono degno del loro amore? Sono bello”? Non è narcisismo, spiega Köhler, ma una paura sociale, che riporta al sentimento di solitudine, con una minaccia: “Io vengo visto, ma è come se non potessi esistere”. Il giovane si vergogna di esistere e ha paura di essere guardato, come se fosse nudo. Köhler cita il caso di un manager, che doveva toccarsi per proteggersi dagli sguardi altrui.
Il Professore ritorna a parlare di “giusta postura”, soprattutto da parte degli insegnanti, poiché i giovani fanno fatica a sopportare gli sguardi. Lo sguardo può essere penetrante, di ricerca, indiscreto, ma quello giudicante è il peggiore, perché può fare ammalare anche nel giudizio positivo. Il giovane è sovraesposto, lacerato e la giusta postura di un adulto è la discrezione. La risposta giusta, afferma Köhler si trova da sé, tenendo presente dove sia la ferita dell’altro, così si sa dove non si deve toccare. Occorre soffermarsi sulle strade da percorrere per trovare la giusta postura interiore, poiché i giovani hanno bisogno di autorevolezza, ma anche di qualcuno pronto a confrontarsi con il conflitto. L’educazione nell’ambito della pedagogia Waldorf è autoeducazione. Spesso la maggiore insicurezza è sul piano del fare, soprattutto quando in un giovane l’anima cresce lontana dal corpo. Köhler afferma che nelle problematiche di questo tipo è come se il corpo del giovane dovesse essere preso, trattenuto. Si può manifestare con alcune posture, ad esempio le braccia come ciondolanti rispetto al corpo, così come nella calligrafia che tende a perdere la sua forma. Il giovane può tentare sport estremi per superare il senso di disperazione sulle proprie capacità, oppure abbandonare improvvisamente tutto ciò che gli è piaciuto per tanti anni. Comprendere quali siano i suoi compiti nel mondo equivale a chiedersi: “Cosa sono capace di fare io”? Nel giovane, afferma Köhler, è come se albeggiasse qualcosa: “Sono qui sulla Terra, ho portato con me delle capacità e devo prendere dei compiti sociali, altrimenti che cosa sono venuto a fare”? La domanda principale del giovane quindi è: “Perché sono qui”?
Köhler raccomanda un rimedio infallibile contro la paura di fallire, l’Arte, che definisce il rimedio del futuro, e citando Josef Beuys: “O tutto verrà costruito sull’arte o tutto affonderà”. Lo stesso Rudolf Steiner affermò: “Se potessi girare la ruota all’indietro per costruire la scuola Waldorf fonderei tutto sull’arte”. Köhler raccomanda il richiamo della “scuola come atelier d’arte sociale”, altrimenti le scuole diventeranno “scuole di tortura”, fattori patogeni nella gioventù. La scuola per essere curativa si dovrebbe basare sull’arte.
In una sana crisi puberale ci si domanda: “Dove voglio andare? Come voglio divenire? La risposta è nella forza curativa degli ideali. Accanto all’arte occorre far entrare lo spirito dell’utopia: “Andate con i vostri giovani sulla strada per Utopia”- M. Buber-.
Libertà, uguaglianza e fratellanza: questi ideali fremono in ogni giovane animo come domanda nella vita degli adulti” –R. Steiner-. Tali ideali dovrebbero vivere nella famiglia, nella scuola, nella società, altrimenti l’anima del giovane è delusa e l’unica risposta possibile diventa la violenza.
La conclusione è di prepararsi a una pedagogia in questo senso.
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