Martedi, 21/04/2009 - Adesso conosciamo il suo nome: Esceth Ekos, nigeriana di 18 anni, incinta, morta annegata mentre cercava di raggiungere, insieme ad altri nigeriani, somali ed eritrei l’Europa. All’arrivo a Lampedusa le viene riservata un po’ di quella compassione di cui avrebbe avuto bisogno quando era ancora in vita; mentre scaricano il suo cadavere dalla motovedetta si alzano dei teli a nascondere quel corpo senza vita, ormai decomposto, lasciato a marcire cinque giorni sulla prua della nave turca insieme all’immondizia.
Da quale recondito luogo del mondo veniva questa ragazza? Stava scappando da qualcosa o aveva, come tutti i giovani, progetti e speranze? Il suo bambino era frutto di amore o di una violenza? Da quanto tempo era partita da ‘casa’? L’Italia era la sua destinazione finale o aveva intenzione di andare in un altro paese europeo o nordamericano? Stava raggiungendo qualcuno o era completamente sola? Sapeva Esceth che nel nostro civile paese dire nigeriana equivale a dire prostituta? Che tantissime sue connazionali finiscono nel mercato del sesso?
Adesso conosco il suo nome e una miriade di domande, inutili ormai, si affollano nella mia mente. Esceth Ekos, figlia dell’Africa, è entrata a far parte dei migliaia di africani morti annegati mentre tentano di arrivare in Europa. Sulla sua morte la Procura della Repubblica di Agrigento, come è stato fatto in casi analoghi molte altre volte, ha aperto un’indagine per accertare se vi siano eventuali responsabili. La responsabilità in questi casi è legata alle leggi che, come comunità umana, ci siamo dati; quelle norme che permettono, nella perfetta legalità, che due nazioni per cinque giorni si rimpallino la responsabilità su un gruppo di disperate vittime di un naufragio.
Ma quello che offende di più e sconcerta è la scandalizzata indifferenza e l’ipocrita indignazione con cui siamo abituati a vivere queste situazioni che ormai si ripetono regolarmente. Abbiamo ascoltato così tante meschinità sul tema dell’immigrazione che siamo anestetizzati dalle grida sguaiate sui vu cumprà e sui terùn, dalle discettazioni attorno al concetto di razza fino ai nauseanti paragoni tra i figli di coppie miste e le vacche pezzate (nobili parole del Maestro Venerabile Licio Gelli), dai cori negli stadi. Ormai ha prevalso completamente, giustificata dal falso modello dell’operosità ‘fai da te’, la vecchia abitudine italiana al particolare, il nostro ‘familismo amorale’ che ci fa sembrare lecito e giusto accontentare qualsiasi superflua necessità dei nostri figli e non riuscire neanche ad intravedere i sogni e i desideri di giovani che vivono in una reale situazione di privazione. Siamo un paese di vecchi paurosi in piena decadenza.
L’unica consolazione è che siamo dalla parte dei perdenti. Questa marea umana non si fermerà e prima o poi ci sommergerà con l’energia che nasce dal partire da nulla ma avere progetti, idee, utopie.
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