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Addio ad Antigone dai capelli bianchi

Addio ad Antigone dai capelli bianchi

Martedì 16 febbraio è morta Thérèse Clerc. Militante femminista della prima ora, Thérèse è stata la fondatrice della «Maison des Babayagas».

Martedi, 23/02/2016 -
Della Baba Yaga, la strega che si aggira per le terre di Russia e vola su una scopa tirata da un pestello, Thérèse Clerc aveva gli stessi capelli bianchi. Lunghi e d’argento. Delle fattucchiere della cultura popolare, Thérèse custodiva la forza che ammalia e perturba. Delle streghe, poi, la libertà. Perché tutta la storia di Thérèse è la storia di una liberazione. Individuale e collettiva.



Libertà anche da un matrimonio avvenuto a poco più che vent’anni con uomo più grande, Claude Fonbonne, proprietario di un’impresa di pulizia. All’inizio Thérèse, che è madre di quattro figli, non lavora. «Eravamo una classica famiglia borghese, con figli battezzati e una madre che, ogni giorno, ci veniva a prendere fuori da scuola», racconta Agnès Fonbonne, una delle figlie. È grazie al contatto con i preti operai rientrati in Francia dopo la Guerra d’Algeria che si annida un cambiamento. «Ho incontrato Marx in una chiesa in Rue de Charonne», aveva raccontato alla sua biografa e figlia spirituale Danielle Michel-Chic, autrice di «Thérèse Clerc, Antigone aux cheveaux blancs».



Poi, il tempo delle prime riunioni. Le manifestazioni e il Sessantotto che si avvicina. Arriva finalmente il Movimento di liberazione delle donne. Le assemblee appassionate alla facoltà di Giurisprudenza e le discussioni sul patriarcato, il corpo, la violenza. Thérèse si allontana dal marito. A quarant’anni divorzia e inizia a lavorare. È il segno di una nuova vita, nei corpi e nei movimenti. Aderisce al Movimento per la libertà di aborto e della contraccezione (MLAC). A Montreuil, nell’appartamento acquistato nel 1974 che non lascerà mai e che diventerà una fucina di incontri, pratica aborti clandestini.



Ogni battaglia di Thérèse è una battaglia radicata sul territorio. Da Montreuil, il quartiere delle sue radici e dei suoi rami, non si allontanerà mai. È qui che fonda la «Maison des Babayagas», uno spazio autogestito «per invecchiare insieme come cittadine libere e indipendenti». Una casa comune, dove vivono 20 donne over 65 nel segno di una condivisione di intenti. «Il mio è un progetto per cambiare l’immagine della vecchiaia», aveva dichiarato Thérèse nella sua ultima visita a Roma alla Casa Internazionale delle Donne. «La nostra è una casa aperta, in cui le donne continuano a lavorare con la comunità del quartiere. Di qui l’idea della giovinezza». Ma il progetto non ha vita facile. Ignorato dalle autorità, rimane senza finanziamenti fino al 2003. È un’eccessiva ondata di caldo estivo – che in Francia ha provocato la morte di 15mila anziani – e la pubblicazione su «Le Monde» di un articolo su un nuovo modo di ripensare la vecchiaia a smuovere le autorità locali.



Autogestione, ecologia, femminismo e laicità i punti fermi della Maison. Ma anche cittadinanza attiva, condivisione e sostenibilità. Perché l’ideale di Thérèse non è quello di una qualsiasi casa di accoglienza. Al centro c’è un’utopia concreta, una radicalità dei desideri che diventa una libertà radicale. Per questo alle donne si offrono corsi di formazione e corsi di lingua per le migranti: perché il processo di liberazione passa ancora attraverso l’autodeterminazione. Nella consapevolezza che, come ogni stagione della vita, anche la vecchiaia può essere una stagione di cambiamenti. Un periodo di inebrianti scoperte e nuove saggezze.

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