Focus - Madri/2 - Il documentario di Alessandra Bruno si sofferma sulle quarantenni che si domandano se vogliono o no diventare madri
Silvia Vaccaro Domenica, 04/10/2015 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Ottobre 2015
“Sono andata in crisi. Mi dicevo: ‘Se non sei capace a fare un figlio che è la cosa più naturale del mondo, non sei capace a fare niente’”. Così Ilaria, una delle protagoniste di Stato Interessante (prodotto da B&B Film in collaborazione con Rai Tre), racconta la sua maternità mancata. Lei e il suo compagno da undici anni lasciano campo libero al destino, fino al giorno in cui decidono di capire perché questo figlio non arriva. Le analisi a cui la coppia si sottopone decreteranno che è tutto a posto, ma Ilaria continuerà ad interrogarsi su cosa fare. Insistere o desistere? Le storie contenute nel documentario sono quelle di quarantenni chiamate a mettere un’ultima parola sul tema maternità, tema che diventa quasi un pretesto per affrontare un confronto diretto con se stesse, un’esperienza da attraversare per poter scegliere con maggiore convinzione la propria strada nella vita. Sono donne che non si sottraggono all’elaborazione e che Alessandra Bruno - ideatrice e regista - ha voluto catturare proprio nella fase del dubbio e del confronto con il partner. Le storie, narrate sapientemente, restituiscono tutta la complessità che si apre dietro questo tema: la presunta naturalità della maternità, il giudizio proprio e altrui, la capacità di sentirsi veramente libere di scegliere. “Si da per scontato che una donna non può non sapere se vuole un figlio. Ma perché non può?”, dice a un certo punto Paola, un’altra protagonista. Di questa e delle tante domande che si pongono le donne nel suo documentario ne abbiamo parlato con la regista.
Da dove viene l’idea del documentario?
L’idea è venuta da me perché sono coetanea delle protagoniste e per prima io mi sono trovata in questa fase, e mi sono resa conto mentre vivevo questa esperienza che questo momento richiamava una serie di domande che facevo a me stessa, e poi agli altri e a tutta la mia vita. Mi sembrava che questi interrogativi portassero ad altre questioni molto più grandi che meritavano di essere indagate a loro volta. Parlando con le mie amiche senza figli, mi sono accorta che molte si trovavano in questa stessa situazione. Venivano fuori una serie di questioni che prescindevano moltissimo dalla maternità e che riguardavano l’identità, quello che sei: un momento di confronto senza filtri con te stessa, per cui la maternità a quel punto, a quell’età, era un pretesto.
Quali sono le questioni di cui parli?
Quando arrivi a quarant’anni e, per un motivo o per un altro, non hai avuto figli, perché l’hai evitato o rimandato, a volte senza nemmeno dirtelo razionalmente, improvvisamente ti si pone davanti un limite, che è quello biologico. Sai che non hai più tutto il tempo del mondo. Questo è il primo vero limite che incontri. Nella vita ci sono pochi limiti così, e proprio di frontea questa imprescindibilità, ti chiedi: che cosa voglio veramente? Qual è davvero il mio desiderio? Se ti fai davvero questa domanda, questo ti mette in discussione rispetto a quello che hai fatto finora e a quello che vuoi diventare.
Come hai trovato le storie?
Sono partita dalle mie amiche, e poi la cosa si è andata allargando. Tantissime donne mi hanno scritto offrendosi di raccontare la loro esperienza, ma a me interessava in particolare raccontare la confusione, quando non sai ancora se lo vuoi, non hai più molto tempo e ti devi dire cosa vuoi fare. Perché, se vuoi un figlio, devi andare da un medico, parlare con il tuo compagno, metterti di impegno. Oppure devi scegliere di non averlo. Un momento in cui non puoi più lasciare la palla al caso, perché a quarant’anni è più facile che i figli non arrivino per caso. Ho scelto quindi delle donne che veramente si trovavano, per motivi diversissimi, nella fase di impasse.
Le donne del tuo film hanno più la paura di fare un figlio o più paura di non volerlo?
Ho trovato più paura di dirsi “non lo voglio” e di accettare questa idea. Sia per quelle a cui questo figlio non arriva, sia per quelle che non hanno ancora deciso, per tutte è di più la paura di dirsi che non lo vogliono.
Quindi anche le donne più libere, subiscono ancora lo stereotipo della naturalità della maternità…
Nonostante le donne che racconto siano libere e colte, subiscono - e subiamo - ancora il pregiudizio che abbiamo verso noi stesse. Quanto sono donna se non divento madre? Questa cosa va contro la mia femminilità? Sembrerebbe impossibile, eppure nel momento della scelta questa domanda diventa molto forte. Si chiedono “sto rinunciando a una parte della mia potenzialità in quanto donna?”. È una cosa con cui fai i conti, che poi razionalizzi e dici “non ha alcun senso”. Ma è ancora difficile accettarlo e parlarne serenamente con i propri compagni. Una donna che non procrea si sente ancora in difetto, come se la cosa dovesse sottendere sempre un qualche tipo di problema. Poi però ci ragioni e ci passi sopra, perché è un pregiudizio cattivissimo che non puoi subire.
Forse è proprio il fatto di parlare di naturalità che è sbagliato…
La naturalità della maternità è un luogo comune e fa moltissimi danni. Il fatto di parlare di una potenzialità che la donna ha per natura significa che questa cosa non può rimanere inespressa. Invece il discorso è molto più complesso, perché il fatto di avere questa potenzialità non corrisponde sempre al proprio desiderio, che è frutto di tante altre cose, che per alcuni sono solo sovrastrutture, per altri sono ciò che fa di te un essere pensante. Esiste la potenzialità ma quello che fa la differenza è la tua capacità di scegliere. Ovviamente io non voglio generalizzare, la mia indagine è molto parziale e io racconto un certo tipo di donne. Però è vero che per molte donne i figli non vengono così facilmente. La naturalità può creare un senso di inadeguatezza.
Forse l’unica cosa naturale della maternità è il fatto che ti ci devi confrontare…
Si, indubbiamente. Mi sembra difficile che si abbia una posizione aprioristica su questa questione, se non magari per motivi ideologici. Si può passare oltre rapidamente e risolvere in fretta la cosa, ma devi comunque elaborare questa esperienza, confrontarti, fermarti un attimo per poi andare avanti.
Il ruolo dei partner nel film è marginale perché è stata una tua scelta di regia o perché quella di fare un figlio è ancora più una scelta della donna che della coppia?
Non era una mia scelta a priori non coinvolgerli, anzi, ho interpellato donne che avessero coppie solide, con anni di relazione alle spalle. Ho trovato uomini coinvolti, partecipi, innamorati e comprensivi però mai decisivi, in grado di prendere in mano la situazione. Non so perché avviene, forse perché in fondo c’è l’idea che solo la donna può decidere di avere un figlio. Di fronte a questo dilemma di individuare il loro desiderio, gli uomini hanno un altro modo di elaborare queste questioni. Il fatto di non avere un limite biologico li mette in una condizione psicologica diversa, non li angoscia, nonostante le loro compagne lo siano.
Il documentario si apre e si chiude con molta ironia. Può essere una chiave per affrontare questo momento di passaggio?
Io ho cercato di mantenere un tono che non fosse mai drammatico. Ho volutamente aperto e chiuso in questo modo, perché credo che la vita continua, e che questa è una fase che si supera. Non è detto che poi non ci tornerai su quella scelta, però intanto ci hai pensato, ragionato. Finisco con un’apertura verso la vita e con l’idea che sei tu che devi essere libera di decidere per te stessa. #foto5dx#
Alla fine ti sei data una risposta sul perché alcune donne non fanno figli? Quanto conta l’aspetto socio-economico?
I figli non esistono finché non ci sono. Tutto quello che avviene prima è una proiezione di te. E c’è quella della maternità e mille altre. C’è chi si immagina con un bambino in braccio e chi no. Avere figli è una scelta tra le altre. Ci sono tante immagini del sé, e più vai avanti più le immagini di te si moltiplicano. L’aspetto socio-economico è sicuramente un fattore, ma l’ho lasciato da parte perché secondo me a quarant’anni non è prioritario. A quell’età hai fatto pace con il tuo stile di vita, se vuoi fare un figlio lo fai. Il problema è che sei grande e quasi metà della tua vita l’hai vissuta senza un figlio quindi l’immagine di te madre non prende tutto lo spazio. Devi quasi forzarti a immaginarti con un bebè in braccio. Sei disposta a volerlo in un modo così forte? E tutto quello che hai costruito intanto dove lo metti? La questione è questa, e ovviamente ne porta con sé tante altre.
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