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Aborto. Ritorno alla clandestinità

Aborto. Ritorno alla clandestinità

Obiettori. Di coscienza?/1 - La legge 194 è stata approvata per tutelare la salute delle donne, un dovere mancato negli ospedali che a causa delle troppe obiezioni di coscienza non organizzano bene gli interventi di ivg

Flamigni Carlo Lunedi, 02/04/2012 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Aprile 2012

La clausola dell’obiezione di coscienza era pienamente giustificata ai tempi in cui la legge è entrata in vigore: i medici cattolici (o comunque contrari all’aborto volontario) che lavoravano negli Ospedali furono sorpresi da una innovazione alla quale non avevano pensato nel momento in cui avevano fatto la loro scelta di lavoro e, quindi, avevano il diritto di dissociarsi. Certo, sarebbe stato lodevole se avessero dedicato il tempo risparmiato a fare promozione di cultura su uno dei tanti temi che riguardano il controllo delle nascite, un modo per dimostrare la coerenza delle loro scelte, ma non si può pretendere troppo. Attualmente, però, chi sceglie una specializzazione o decide di lavorare in un Ospedale pubblico sa bene cosa lo aspetta e se lo fa, pur sapendo di essere ben determinato a ignorare i diritti di molte donne (diritti ai quali dovrebbero corrispondere altrettanti doveri dei medici), compie un gesto molto discutibile sul piano umano e su quello morale. È bene ricordare ancora una volta che la richiesta di abortire non è la conseguenza di una scelta capricciosa, riguarda la salute, un problema che non può essere disatteso e che carica i medici di una responsabilità ineludibile. Nel 1997 l’obiezione di coscienza riguardava il 60% dei ginecologi e il 50% degli anestesisti. Nel 2009 era passata al 71% per i ginecologi e al 51% per gli anestesisti. Per il personale non medico l’aumento percentuale è stato di oltre il 10%, nel 2009 gli obiettori erano circa il 45%. Nella relazione del ministro Fazio si legge che il ricorso all’obiezione di coscienza non ha diretta incidenza nel ricorso all’IVG, ma questa opinione si basa sui tempi d’attesa tra il rilascio della certificazione e l’intervento. Ciò nonostante che il 16% degli interventi siano eseguiti più di 14 giorni dopo il rilascio della certificazione comporta per queste donne un aumento del rischio di complicazioni, aumento che è significativamente maggiore con il trascorrere del tempo. Non vi è dubbio che quando il personale medico e quello paramedico scendono al disotto di certi livelli, si creino inevitabilmente condizioni che mettono a rischio la salute di molte donne e ne indirizzino altre verso percorsi pericolosi e insicuri, come l’utilizzazione di farmaci, appresa dalle nuove cittadine che arrivano dall’Europa dell’Est e che sono ormai abituate ad acquistare prostaglandine in farmacia, il ricorso all'aborto clandestino, (al medico disonesto per le più abbienti, alle mammane per le donne più povere), il viaggio all’estero, alla ricerca di medici più disponibili. Una recente indagine di una giornalista ha dimostrato come in molte grandi città sia possibile e, soprattutto molto semplice, trovare indicazioni precise per ogni sorta di soluzione illegale dei problemi determinati da una gravidanza non desiderata, dalle ricette per l’acquisto di prostaglandine all’indirizzo di un medico compiacente. In ogni caso, i rischi per le donne che restano in Italia e aspettano con pazienza il proprio turno sono ben noti: un maggior numero di effetti collaterali sfavorevoli, immediati o a distanza, che riguardano spesso la salute, altrettanto spesso la fertilità, qualche volta la vita. Voglio segnalare, a questo proposito, la scarsissima attendibilità dei dati riferiti dall’Istituto Superiore di Sanità (certamente non per colpa sua), che riporta tabelle con un incredibile numero di zeri, segno di scarsissimo interesse degli Ospedali per le sequele degli interventi. A questo punto sono costretto ancora una volta a ricordare a tutti che la legge 194/1978 è stata approvata allo scopo di tutelare la salute delle donne e non per compiacerne gli istinti omicidi o assecondarne i capricci isterici. La salute! Così quando un Ospedale non riesce a organizzare gli interventi di interruzione della gravidanza in modo accettabile, ebbene quell’Ospedale manca al suo impegno fondamentale, che è proprio quello di tutelare la salute dei cittadini. Ne consegue l’opportunità di licenziare Presidente, Direttore Sanitario e Primario Ostetrico. È triste constatare come tra i medici di nuova assunzione - tra i quali sono sempre più numerose le donne - sia preponderante il numero di obiettori. Che i motivi di queste scelte siano da ascrivere a reali problemi di coscienza, a un (improbabile) aumento della religiosità tra i cittadini italiani, a questioni di mera convenienza, al fatto di non aver vissuto i tempi dell’aborto clandestino, a mancata o cattiva formazione professionale o ad altro, è difficile dirlo. Alcuni dei miei collaboratori che chiesero di fare obiezione di coscienza dopo aver accettato di praticare interruzioni di gravidanza per tempi anche piuttosto lunghi, mi spiegarono che i motivi erano di ordine pratico e avevano a che fare con la preparazione professionale e la carriera. Credo che si possa facilmente stabilire qual è l’orientamento in tema di religione del Presidente di un Ospedale semplicemente valutando la percentuale di obiettori che si ritrovano nel suo reparto di Ostetricia e Ginecologia e sono certo che gli obiettori di coscienza diminuirebbero sensibilmente se gli amministratori fossero scelti in base all’esperienza professionale e non tenendo conto dell’appartenenza politica. L’obiezione può divenire l’espressione di un diritto all’intolleranza religiosa e tradursi in uno strumento di negazione del principio di laicità, anteponendo le convinzioni personali della persona titolare di una pubblica funzione al pieno rispetto dei suoi doveri, cioè a quelli che derivano dal suo ufficio. Diviene un’imposizione di coscienza, o un’obiezione di struttura, che equivale a un sabotaggio, che è esattamente quello che sta accadendo in Italia oggi. In realtà le costanti e illecite pressioni del Vaticano e degli uomini politici che lo rappresentano nel nostro Paese determinano una ferita dei principi democratici perché stanno vanificando leggi di pubblico interesse. Il modo per evitare questa odiosa violazione dei diritti delle cittadine esiste, e tutti lo sanno; ma questo non è, purtroppo, un paese laico, e anche questo tutti lo sanno.



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Sessualità e riproduzione, duemila anni di pregiudizi



All’inizio furono erbe tritate e feci di coccodrillo inserite nelle vagine delle donne egiziane, alla fine pillole ormonali somministrate a povere donne portoricane usate come cavie inconsapevoli fino a qualche decennio fa. In mezzo c’è la storia della contraccezione che Carlo Flamigni scrive in un poderoso volume di oltre 500 pagine, edito da Dalai. Da quando, nella preistoria, l’uomo comprese che erano i rapporti sessuali la causa della nascita dei bambini e, a mano a mano, che nei secoli aumentavano le conoscenze sui misteri della procreazione, pian piano abbandonò le antiche abitudini necessarie per liberarsi di una nuova bocca che non era possibile sfamare (cioè abortire, uccidere il bambino appena nato, abbandonarlo, venderlo, qualche volta persino mangiarselo) e cominciò a cercare nuove strade che agissero sul corpo della donna per impedire la nascita di nuove bocche. Il libro parla del controllo delle nascite nelle civiltà più antiche, del progresso delle conoscenze in campo riproduttivo, dei successivi e fastidiosi interventi della morale, dalla prima condanna della contraccezione fino alla persecuzione delle streghe e delle ostetriche da parte dell’Inquisizione. C’è anche la descrizione, con qualche dettaglio, della poco trasparente ricerca scientifica che ha consentito, con molte lacrime e un po’ di sangue, l’utilizzazione della pillola contraccettiva. ‘Storia della contraccezione’ è un’opera unica nel suo genere, ricchissima di dati storici, medici ed etnografici. Una storia di violenze della povertà e dell’ignoranza, di arroganza della religione e della scienza, nascoste dietro il vessillo dell’etica e del progresso, ma in cui la vera vittima è la vita, generazioni di madri e di figli mai nati.



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