In Cile la camera ha approvato una proposta di legge che abroga il divieto totale di interrompere una gravidanza introdotto durante la dittatura di Pinochet.
Il Cile depenalizza l’aborto per motivi terapeutici. Con 66 voti a favore e 24 contro, la camera ha approvato un progetto di legge che consente l’interruzione volontaria di gravidanza nel caso di rischio di vita per la madre, malformazione del feto e stupro. Ora la legge passa al senato.
Era stata Michelle Bachelet a iniziare il processo legislativo per la depenalizzazione dell’IVG. Che, insieme ad altre riforme costituzionali e tributarie, si era collocata al centro della campagna elettorale della Presidente nel 2013. Con otto voti a favore e cinque contrari, nell’agosto 2015 era stata la Commissione Salute della camera dei deputati ad approvare la mozione che autorizzava il parlamento a legiferare sul tema. Solo in seguito il disegno di legge era passato alla camera. In un’intervista al quotidiano «La Segunda», la ministra della Salute Helia Molina aveva denunciato la frequenza con cui le famiglie conservatrici, contestatrici dell’aborto, fanno ricorso a cliniche private per interrompere le gravidanze non volute. Le dichiarazione hanno portato alle dimissioni della ministra.
Insieme a El Salvador, il Nicaragua e l’Honduras, il Cile era rimasto l’unico paese dell’America Latina a vietare totalmente l’aborto. Una decisione di Pinochet, durante gli ultimi mesi del regime, quella di rendere l’IVG illegale in tutte le circostanze: «non si potrà eseguire alcuna azione il cui fine sia quello di provocare un aborto». In un’intervista alla BBC Mundo Lidia Casas, avvocata del Centro per i Diritti Umani dell’Università Diego Portales, aveva spiegato che nel paese «le donne abortiscono nelle più disparate condizioni». Nell’inchiesta da lei condotta, «La penalizzazione dell’aborto come violazione dei diritti umani delle donne», era emerso come l’IVG fosse fortemente condizionata dalla classe di appartenenza. E la situazione vale «dai metodi rudimentali ai centri assistenziali molto più sofisticati, con donne che autogestiscono l’aborto con il misoprostolo ed altre che viaggiano all’estero». Il farmaco, impiegato principalmente per uso ginecologico, è autorizzato in Cile solo in ambito ospedaliero per patologie gastroenterologiche. Secondo l’inchiesta di Lidia Casas, il ricorso all’aborto clandestino ne ha incrementato le vendite sul mercato nero. Il prezzo oscillerebbe tra i 65 e i 200 dollari.
Di notevole impatto mediatico era stata la campagna#LEYabortoTERAPEUTICO – promossa da Miles, organizzazione non governativa per i diritti sessuali e riproduttivi delle donne –, che aveva diffuso una serie di video con finti tutorial per spiegare come interrompere la gravidanza. La campagna voleva mostra le contraddizioni di un paese dove la totale negazione dell’IVG continua a convivere con l’aborto clandestino. Si stima che in Cile vengano compiuti circa 120 mila aborti clandestini ogni anno. Secondo l’indagine Plaza Publica-Cadem del 2015, il 74 per cento dei cileni appoggerebbe l’aborto se è in pericolo la vita della madre, il 72 per cento quando la donna è rimasta incinta durante una violenza e il 72 per cento lo approva se esiste un’alta probabilità che il feto non sopravviva.
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