SPAGNA - Il ministro Alberto Ruiz-Gallardón e il governo del Partido Popular riformano la legge sull’aborto. É una trasformazione radicale contro l’autodeterminazione delle donne
Emanuela Borzacchiello Lunedi, 17/02/2014 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Febbraio 2014
Nella Gran Vía di Madrid una ragazza è seduta in terra con un cartello al collo. Immobile e bocca chiusa da nastro adesivo nero. A parlare per lei il cartello rosso: “Per piacere, dammi un aiuto per andare a Londra ad abortire”. É il 21 dicembre 2013: il giorno dopo l’approvazione da parte del governo spagnolo della nuova normativa che cancella il diritto di scegliere una maternità volontaria e trasforma l’aborto da diritto in delitto. In quel pezzo di strada la ragazza è ferma dall’alba: “La performance ha stimolato reazioni differenti da parte dei passanti, per lo più positive. Per me è importante sottolineare l’importanza di riportare il dibattito sull’aborto per le strade”.
Cambi radicali in tempi di crisi. La riforma voluta dal ministro della giustizia Alberto Ruiz-Gallardón non è un passo indietro, né un ritorno al passato. É una trasformazione radicale che apre scenari complessi, la cui analisi e lettura deve inserirsi nel quadro generale della perdita dei diritti che caratterizza la crisi economica. Il nome della riforma già indica il cambio di paradigma: Ley de Protección de la Vida del Concebido y de los Derechos de la Mujer Embarazada (Legge di protezione della vita del concepito e dei diritti della donna incinta). Vita dell’embrione in primo piano e avente diritto di persona fin dal suo concepimento. In secondo piano, i diritti sessuali e riproduttivi della donna, nome declinato in un singolare indistinto che annulla e impoverisce in una stessa condizione biologica le differenti modalità di vivere la scelta della maternità. In Spagna la legge è stata definita “la più restrittiva della democrazia” perché limita la possibilità di interrompere la gravidanza solo in caso di violenza (fino alla 12esima settimana) e di grave pericolo di salute fisica eo psichica per la vita della madre (fino alla 22esima). A condizioni che si restringono, corrispondono meccanismi che si complicano: il governo recupera dalla legge del 1985 la condizione del danno psicologico, ma ne irrigidisce il procedimento. Il grave pericolo dovrà essere attestato da un rapporto redatto da due medici, che non devono lavorare nella stessa struttura dove verrà praticato l’aborto, né potranno essere gli stessi che lo praticheranno. Attualmente il 97% delle interruzioni avviene in cliniche private, e sono gli stessi medici della clinica quelli che elaborano il rapporto e praticano l’aborto. Oggi il Partido Popular rompe questo vincolo per “garantire”, dice, l’imparzialità dei medici. I meccanismi che si complicano si sommano ai tempi che si allungano: secondo la legge attuale se una donna decide di abortire, riceve dal medico informazioni su alternative, aiuti alla maternità e rischi. Deve riflettere per un minimo di tre giorni e ritornare nel caso la sua decisione sia sicura e definitiva. Con la nuova Ley il minimo dei giorni richiesti passa a sette. “Un aumento del tempo previsto”, avvertono le organizzazioni in difesa dei diritti sessuali e riproduttivi delle donne, “che rischia di allungare tempi di attesa e rendere sempre più difficile abortire in strutture pubbliche entro il margine dei tre mesi previsi”.
L’aborto è una violenza di cui la donna è vittima. Il cambio di paradigma viaggia lungo le linee direttrici di un restyling comunicativo su cui ha puntato il governo per affermare una vecchia visione dell’aborto inserita in un contesto nuovo di crisi economica. Una visione secondo cui la donna è vittima dell’aborto e l’aborto è violenza di genere. Il ministro Gallardón ha dichiarato che la donna è vittima perché subisce una pressione sociale che la spinge ad abortire, a cui “si devono aggiungere le difficoltà economiche che vivono in molte”. Secondo le nuove guide ideologiche del governo se la donna è vittima dell’aborto non sarà penalmente perseguibile per legge. Vittima non capace di intendere che necessita protezione, vittima non capace di volere in autonomia che deve essere costantemente guidata e accudita. Ad essere puniti penalmente saranno i medici che praticheranno l’aborto, fino a tre anni di carcere e sei di sospensione dell’attività medica. Il portavoce del Gruppo Popolare al Senato, Luis Peral, ha salutato così l’approvazione della legge: “L’aborto è un dramma per le donne e una forma di violenza di genere che non si vuole riconoscere”, e aggiunge, “la decisione di abortire spesso si prende da sole, con la pressione sociale dei genitori o dei datori di lavoro”.
Cambi legislativi crescono in una sanità pubblica sempre più debole. Il big bang dell’universo sanitario spagnolo è iniziato nell’aprile del 2012, con la presentazione della riforma sanitaria approvata nell’agosto dello stesso anno. Il governo di destra (Partido Popopular) puntava non solo su tagli profondi della spesa pubblica, ma a un cambio drastico del modello: da pubblico, gratuito e universale a privatistico ed esclusivo. L’attuazione della riforma passava per l’inasprimento di requisiti e la burocrazia trasformava la possibilità di accesso ai servizi pubblici in un percorso ad ostacoli. In questa fase, il governo aveva proposto di cancellare la gratuità prevista per l’interruzione di gravidanza in quanto spesa non sostenibile dal sistema. La proposta era stata poi fermata grazie alle manifestazioni dei movimenti femministi spagnoli e il fermo no dei partiti all’opposizione. Ma chi persevera la vince e così l’altro attacco decisivo ai diritti sessuali e riproduttivi delle donne è sferrato nell’agosto 2013, quando il governo cancella la gratuità di una vasta gamma di anticoncezionali. La giustificazione è la sostenibilità della spesa farmaceutica, la conseguenza è che in una situazione di disoccupazione galoppante la contraccezione diventa sempre più un peso economico per un numero crescente di donne, soprattutto giovani. In questo quadro di tagli e cambi di sistema, il ministro Gallardón inserisce il suo progetto, cancellando non solo la riforma del 2010 - targata partito socialista e che prevedeva la possibilità di interrompere la gravidanza in tutti i casi se “la donna lo decide” fino alla quattordicesima settimana - ma anche la legge precedente, in vigore dal 1985 al 2010, per cui era possibile abortire in tre casi: violenza, gravi rischi di salute per la madre e malformazione del feto.
Per la nuova legge malformazioni, malattie incurabili o anomalie del feto incompatibili con la vita non sono più un motivo legale per abortire. Il ministro specifica il perché della sua scelta: “Non ci sono embrioni di prima classe o di seconda, così come non ci sono persone di prima o seconda”, e ancora “le anomalie del feto non saranno previste dalla legge per non discriminare le persone portatrici di handicap”. Le donne che decidono di abortire per malformazione al feto, possono appellarsi al danno psicologico, ma dovranno presentare due certificati: di uno specialista che accrediti che l’anomalia esiste e di un psicologo o un psichiatra che certifichi il pericolo per la sua salute psichica. La Asociación de Clínicas Acreditadas para la Interrupción Voluntaria del Embarazo denuncia che: “il nuovo ordinamento impedirà alle donne di abortire nel nostro paese perché i requisiti burocratici, legali e medici impediranno che sia una pratica sanitaria normalizzata”. Punto su punto, le associazioni protestano, spiegano quali saranno le conseguenze della legge. “Circa 105.341 donne ogni anno non potranno abortire se entrerà in vigore la riforma Gallardón”, afferma Empar Pineda, una delle portavoci della Plataforma Decidir nos hace libres, “a questo dato bisogna aggiungere che delle 120.000 donne che ogni anno interrompono la gravidanza, più di centomila 00 non avranno più una copertura legale”. Empar Pineda domanda direttamente a Gallardón “cosa prevede il ministro per queste centomila donne? forse non ha una risposta perché non è stata ancora assimilata l’idea che una donna, sicura di voler interrompere una gravidanza, lo farà con o senza una legge, clandestinamente o, chi potrà, andrà all’estero”.
Nessun limite per i medici obiettori. Se la legge precedente limitava l’obiezione solo ai medici, ora potranno obiettare tutti gli operatori sanitari. Un’obiezione per tutti e a qualsiasi livello: cade l’obbligo per il personale sanitario obiettore di fornire informazioni utili in materia di interruzione della gravidanza. Nel 2012 il Comitato nazionale di bioetica spagnolo si era espresso in materia di obiezione di coscienza, affermando la necessità di prevedere in ogni struttura sanitaria pubblica un numero equilibrato tra obiettori e non.
Le minorenni. In molti dicono che il primo punto della legge precedente ad essere stato cancellato, è stato quello più controverso durante il dibattito per la depenalizzazione nel 2010: se fino ad oggi le minori tra i 16 e i 17 anni erano le responsabili uniche della propria scelta, con la legge attuale potranno abortire solo con il consenso informato dei genitori. “Dall’applicazione della legge abbiamo riscontrato che le minori che decidono di non informare i genitori sono per la quasi totalità casi molto dolorosi, di minori violentate in ambito familiare, migranti che vivono sole in Spagna, o che hanno situazioni familiari estremamente difficili. La maggioranza delle minori, circa l’87% ha deciso di informare i genitori”, assicura Pineda. La nuova legge entrerà in vigore entro la fine del 2014. Intanto, si susseguono iniziative e proteste in tutto il paese: “questa legge non rappresenta il sentire della maggioranza né della società né delle donne, per questo invitiamo tutti i settori della società civile ad unirsi alle mobilitazioni per esigere che sia ritirata”, scrivono nei loro comunicati le associazioni, ong, collettivi di donne. La protesta è iniziata e durerà per tutto il tempo che sarà necessario, assicurano.
QUALCHE NUMERO
Secondo i dati del 2013 diffusi nell’ultima ricerca di Acai (Asociación de Clínicas Acreditadas para la Interrupción del Embarazo): 35.500 donne interrompono la gravidanza per problemi economici; 66.107 per motivi personali; 3.234 per malformazione del feto; nel 2013 sono state 500 le minori che per gravi motivi hanno deciso di non comunicare ai genitori la decisione di abortire.
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