‘Barbie’: film del momento, più commerciale che femminista
Il film di Greta Gerwin, campione d’incassi al botteghino, improntato al colore rosa, propone un matriarcato che non convince. Nella guerra fra sessi vince la Mattel
Mercoledi, 02/08/2023 - Chi fra noi nate negli anni Sessanta non ha mai giocato con la Barbie, scagli la prima pietra. C’è poco da fare, la Barbie, come bambola-giocattolo, è stata per almeno 50 anni un successo mondiale, con una flessione nelle vendite che ha portato, una decina di anni fa, alla realizzazione di Barbie improntate alla multiculturalità ed all’attenzione (più apparente che reale, commerciale ma meglio di niente) alla gender diversity, sempre con produzioni limitate rispetto alla bambola originale, che incarna il perfetto stereotipo della donna oggetto, priva di difetti e di cervello, ma anche plasmabile nei giochi delle bambine e ragazzine.
Oggi è nelle sale, e sulla bocca di tutti, il primo film intitolato alla ‘Barbie’, dedicato alla pupattola bionda, alta, snella, fotomodella, dedita a cambiare costosi vestiti e scarpe che le bambine di tutto il mondo da sempre chiedono piagnucolando alle loro madri. Ma la visione della regista Greta Gerwin (già nota per film più autoriali, come Lady Bird e l’ultima versione di Piccole Donne), nel tentativo di spiazzare gli stereotipi, li alimenta, oltre a costruire una fittizia guerra fra i sessi, banalizzando ed appiattendo le idee di matriarcato e patriarcato (forse perché si prevedeva un pubblico di bambine e pre-adolescenti? peggio ancora…) a realtà edulcorate, prive di spessore e profondità.
La protagonista del film, Barbie Stereotipo, vive a Barbieland, dove le donne hanno il potere assoluto, sono professioniste affermate e gestiscono ogni cosa mentre gli uomini (tutti i Ken prodotti negli anni) sono i loro galoppini, sciocchi e inutili (il film ha ricevuto anche critiche woke in tal senso). Un bel giorno la Barbie inizia ad avere cedimenti alla sua perfezione, tracce di cellulite e piedi che toccano terra sono i primi segnali inquietanti. Si rivolge allora a Barbie Stramba che le spiega il motivo di quanto sta accadendo: la sua padrona reale (che si scoprirà essere la figlia di una dipendente Mattel) ha pensieri tristi, molto tristi e dunque è necessario fare un viaggio nel mondo reale per risolvere la situazione.
Nonostante Barbie sia contraria la accompagnerà Ken in questo viaggio ‘formativo’, il quale a sua volta prenderà coscienza di come nella vita vera siano gli uomini a comandare e dunque, appena tornato a Barbieland, si farà promotore di una rivoluzione patriarcale, a causa della quale tutte le Barbie saranno in poco tempo assoggettate a ruoli di casalinghe e governanti.
La storia continua e finisce con una sorta di tarallucci e vino: le donne/Barbie si riprendono il potere, comprendono di aver esagerato e promuovono (bontà loro) nel nuovo sistema la parità di trattamento per i Ken e tutte le altre bambole emarginate. Ma la Barbie protagonista dovrà fare un ulteriore passo, tornando nel mondo reale ed incontrando, in spirito, la co-fondatrice della Mattel ed inventrice delle Barbie, Ruth Handler, che la rassicurerà sulla futura evoluzione non prestabilita ma ancora da inventare delle Barbie. Anche chissà il diventare umane.
Il film miscela irriverenza, citazioni cinefile (la scena iniziale delle scimmie richiama ‘2001, Odissea nello spazio’), accettazione di sè e dei propri limiti e cambiamenti, celebrazione dell’autodeterminazione femminile (‘tutte possiamo diventare ciò che vogliamo’, un messaggio a buon mercato), tentativo di divertirsi con i generi, cinematografici e non, ma il film ha un sapore estremamente superficiale, come se l’ affermazione del patriarcato, ad esempio, sia indolore e non violenta, o il femminismo l’accettazione che gli uomini sono quello che sono, tutti innocui e da ‘salvare.’ Rimane chiarissima la matrice fortemente incline al marketing dell’intera operazione.
D’altra parte la Mattel è una delle principali produttrici del film ed il ‘marchio’ non è certo nascosto, anzi: le inquadrature su dettagli vendibili (una volta fuori dal cinema), il pellegrinaggio della Barbie Stereotipo nel mondo reale e presso la Mattel, dove il CEO fa autocritica sulla conoscenza del mondo parallelo di Barbieland, quasi a dispiacersene, il colore rosa che invade per circa due ore gli occhi e la capacità di tolleranza del pubblico, tutti elementi che evidenziano l’enorme potenzialità commerciale del film, che, solo al botteghino, ha già guadagnato oltre un milione di euro e, certamente, farà incrementare le vendite nei negozi di Barbie e accessori.
Molto bravi nei rispettivi ruoli attrici e attori: Margot Robbie, già ‘bambola di Hollywood’, come Barbie, Ryan Gosling nel ruolo di Ken (nella parte del perfetto idiota che, alla fine, prende coscienza di esserlo), le interpreti delle varie versioni di Barbie: Emma Mackey, Alexandra Shipp, Hafi NEf, Dua Lipa e molte altre, omologate ed intercambiabili fra loro. A questi si aggiungono Kate McKinnon, la Barbie stramba, e Michael Cera nel ruolo di Allan, un bambolotto fuori produzione.
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