Il film di Jafar Panahi affida alle donne e all’arte il suo messaggio di libertà
Il regista iraniano con ‘3 Volti’ torna a denunciare le discriminazioni di genere e i matrimoni combinati, in favore dell’autodeterminazione femminile e dei popoli
Martedi, 20/11/2018 - Presentato nella competizione ufficiale del Festival di Cannes, l'atteso film di Jafar Panahi ‘3 volti’/'3 visages’/‘Se roch', in uscita nelle sale italiane, si è ben inserito nell’edizione festivaliera 2018, che ha dato voce, più che mai, ai bisogni ed alle cause delle donne e della libertà, affrontando questo tema con tutta la forza che gli consente l'obbligo di interdizione dalla regia, dalle sceneggiature e dall'uscita dall' Iran per 20 anni (dopo aver subito la prigione ed il processo accusato di propaganda contro il governo iraniano), o forse trovando proprio in questo la sua ispirazione.
Il film si apre con la drammatica sequenza, ripresa con un cellulare, di un appello disperato affidato all'etere da una giovane ragazza di un villaggio sperduto delle montagne intorno a Teheran, in procinto di suicidarsi dentro a una grotta con una corda al collo: l'appello è rivolto a una celebre attrice iraniana di serie TV, Jafari Benhaz, ed al nostro regista Jafar Panahi, perché, nonostante i ripetuti tentativi di contattare i due artisti e non essendovi riuscita, sarà costretta a rinunciare alla borsa di studio vinta per il conservatorio a Teheran, dopo una durissima seleziona ed a sposare uno sconosciuto, lasciando così la vittoria all'ignoranza dei maschi di famiglia ed alla discriminazione della società.
Dunque, sembra dire il regista, 'o arte e libertà, o morte', e questo grido parte dai giovani e dalle donne non ancora omologate ad un sistema che tiene tutti sotto scacco, nasce dal desiderio di cambiamento e dal perseguimento delle proprie aspirazioni di tante persone, non solo dai registi ed artisti come lui. Panahi stesso recita nella pellicola, insieme all'attrice Benhaz, entrambi nel ruolo di se stessi, partiti in viaggio alla ricerca della ragazza del video per scoprire se è viva o morta, tra senso di colpa ed ineluttabilità degli eventi, col dubbio di uno scherzo o di una trappola.
I magnifici paesaggi delle montagne iraniane, il misto di ospitalità, tradizionalismo, credenze popolari e destino del suo popolo, la sorte misera delle donne (e comunque la miseria di tutti, spirituale e materiale) vengono evidenziati senza apparente commento dal regista capace di toccare le corde profonde dei personaggi con inquadrature su volti e luoghi, soffermandosi sui particolari ed entrando con ironia, grazia e commozione nelle narrazioni profonde e misteriose di una terra tanto antica e sofferente.
Stupendo il cameo dell'anziana artista e ballerina che vive nel paese, emarginata e sola, scrivendo poemi e dipingendo alberi.
Tra i premi vinti da Jafar Panahi (che riesce comunque a girare e a far uscire i suoi film dal Paese) vale la pena ricordare: la Caméra d’or a Cannes per Le Ballon blanc (1995), il Leone d’oro à Venezia per Le Cercle (2000), il premio Un certain regard a Cannes per Sang et or (2003), l'Orso d’argento a Berlino per Hors Jeu (2006) e l'Orso d’oro per Taxi Téhéran (2015). Anche quest'anno il regista era stato invitato invano dal Festival di Cannes, che ha cercato di intercedere presso le autorità iraniane.
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