Giovedi, 23/09/2021 - Arrivo a Torre Santa Susanna con largo anticipo per poter vedere con calma le sue stradine e la torre. Sono stata invitata dall’amica Franca Rizzo e dalle associazioni La Voce a Sud, A.GI.MUS, e Fiorediloto a presentare il mio libro “Non mi toccare”. È il 19 Settembre e un nutrito numero di gente mi aspetta in piazza Umberto I. “Buonasera dottoressa”, così mi accoglie l’avvocato penalista di Torre Raffaele Missere, “benvenuta in questa piccola fetta di Sud”.
Un paese che non avevo mai visto ma quando andavo al liceo artistico di Taranto col pullman arrivava quello di Torre che ci prendeva alla fermata. Rimanevo affascinata dagli occhi azzurri di molti ragazzi e ragazze, e fantasticavo sulla discendenza di questo paese.
Ma arriviamo a noi alla nostra bella serata di artisti dove io mi trovo nel mio mondo. Che bella atmosfera ho respirato. Mentre allestivo un angolo della piazza con i miei libri e dipinti mi ha colpito la bella voce di Rosanna Volpe: l'interpretazione, la passione con cui ha colorato le note di "Amara terra mia" ha fatto tremare la Torre di Santa Susanna. Le sue mani davano lettura di quanto il testo ci raccontava, come una specie di linguaggio braille, dove combinazioni di punti in rilievo, le note appunto, si leggevano scorrendovi sopra i polpastrelli delle sue dita. Questa immagine mi carica. Da lì a poco avrei presentato il mio libro “Non mi toccare”, e già dal titolo cerco sempre di far capire quanta sofferenza c’è stata nello scrivere un tema del genere e di genere. Ma anche questa è terapia, perché quando si racconta una storia si fa il punto con se stessi e si aiuta il mondo a fare lo stesso. 2 anni per scriverlo, 400 pagine ridotte a 150 per pubblicarlo. Le pagine strappate erano le più dolorose e me ne sono liberata anche se i personaggi sono di fantasia. Pagine strappate per sfoderare un grande sorriso. Si può sopravvivere a situazioni durissime, anzi si deve, perché non la dobbiamo dare vinta agli aguzzini. E soprattutto ci si deve allenare ad essere a proprio agio col mondo.
Il centro del romanzo è la storia di Vittoria e Mirko, un amore passionale, incontrollabile, ma Mirko è possessivo e veste la sua donna con un burqua virtuale, in casa, in una casa italiana dove non ci sono leggi talebane. Eppure se si guarda bene, anzi se si vuole guardare senza girarsi di spalle, ci sono: “non devi uscire, se esci dimmi le strade che fai, le tue amiche sono di due tipi: o depresse o battone, non ci devi stare con loro. Quella sì, mi piace con quella ci puoi uscire. La puoi invitare a casa”. Se arrivava qualche rifiuto sui suoi comandamenti erano parolacce, schiaffi e calci. Una vita intonata a suoni di parolacce schiaffi e calci. Vittoria non ne può più e piano piano cerca di liberarsi da questa droga, da questo amore che dà e toglie, che dice parole bellissime e poi picchia, che fa stare su un ottovolante. Il coraggio di Vittoria la fa diventare un personaggio indimenticabile, per me. Intorno a lei un paese come tanti. Un luogo accogliente ma in cui è difficile trovare testimoni per la violenza di genere, anche se l’amicizia, la parentela li lega alla vittima.
Ma la luce brilla nonostante tutto e la verità viene a galla. Anche nei tribunali e nella rete di donne che a poco a poco, con molta pazienza si sta formando, da Carosino, Torre, Lecce. Trovare chi offre falsa testimonianza per il maltrattante è facilissimo. Ma davanti a un giudice non è facile dire il falso. È reato e si rischia la reclusione perché si sta minando la verità processuale. Si sta portando il giudice su false strade ed è molto grave. In nome del popolo italiano non si può amministrare falsa giustizia. Questo ho detto all’avvocato Missere quando nella serata mi chiedeva nello specifico di storie di donne e della mia associazione “Donne in Fermento”.
Portare in luce la dignità persa della donna, la storia di miseria fatta di umiliazioni e sopraffazioni è il mio intento di donna militante. Essere umiliate con parole e mani è fare una vita ai margini. Non lo dobbiamo permettere a nessuno. A nessuno.
Vergogna e dignità, questo è il mio intento. Superare la vergogna di ciò che è successo, se la donna ha un occhio nero o lividi all’interno cosce non è colpa sua. No. Superare la vergogna e parlare, senza nascondere chi ci fa del male. E ci si guarda poi allo specchio con dignità e orgoglio. E un pizzico di superbia per quello che si è raggiunto che non fa mai male. Mentre dico queste parole, la voce di Rosanna sta per intonare bellissime canzoni della mia infanzia: “E cammino e cammino, ma nun saccio a ddo' vaco
je so' sempe 'mbriaco, e nun bevo maje vino”. E invece noi la strada la troveremo e avrà il sapore dell’emancipazione.
Elena Manigrasso
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