L'assassinio di Emiliana Femiano induce ad una seria riflessione sulla necessità di un disegno di legge bipartisan, che preveda la configurazione del reato di femminicidio.
Lunedi, 29/11/2010 - La giornata internazionale contro la violenza alle donne è ormai trascorsa, accompagnata dalle opportune riflessioni sulle strategie da porre in essere per arginare un fenomeno sempre più dilagante. Si è parlato di un approccio al problema che attenga al profilo culturale della violenza di genere, così come di un impegno più fattivo delle istituzioni pubbliche, affinchè si predispongano misure più adeguate a tutela dell’incolumità e della vita delle donne. A questo proposito ritengo che il legislatore debba fare un passo in avanti e approntare un sistema normativo nuovo, perché quello attuale sempre più mostra la sua inefficienza. Il caso recente dell’assassinio di Emiliana Femiano può essere esemplificativo di un deficit di adeguatezza da parte delle regole predisposte a tutela di chi si trova nella triste condizione di attendere l’esito di una vicenda giudiziaria, che la vede vittima di violenza da parte del proprio partner. Emiliana, lo scorso dicembre, aveva denunciato e fatto processare il suo compagno, Luigi Faccetti, reo di averla coltellata, e si era addirittura costituita parte civile nel corso del processo, dimostrando la sua fiducia nella giustizia nonché un forte senso di responsabilità e di coraggio. A luglio gli avvocati difensori di Faccetti richiesero per il loro assistito la misura degli arresti domiciliari, contro cui si oppose la Procura , che fu chiara nell’affermare, nero su bianco, che l’imputato doveva rimanere in galera, perché sussisteva il pericolo di una reiterazione del reato. Volendo essere ancora più chiaro, il procuratore aggiunto Melillo sostenne che l’imputato doveva essere tenuto in cella, perché pericoloso e capace di provare ad ammazzare in un raptus di gelosia e di vendetta. Queste parole non furono, però, tenute nel debito conto, visto che il gip Modestino decise di assegnare il beneficio dei domiciliari al Faccetti accusato di tentato omicidio. In questi giorni viene giustificata questa scelta,
affermando che si trattava di “ un caso particolarissimo, eccezionale “, perché vi si ritrovava nel contempo “ l’ossessione compulsiva dell’assassinio e un’apparente sindrome di Norimberga da parte della vittima “( D’Urso, ai vertici della sezione gip). Al di là dei dubbi sull’interpretazione psicanalitica di questo caso, visto che il suddetto magistrato aveva comunque sottolineato che “ gli elementi acquisiti nel processo non consentivano un approfondimento sulla personalità della vittima e dell’imputato ", la realtà ha dimostrato, invece, quello che la Procura aveva evidenziato nel suo parere negativo alla scarcerazione dell’imputato. Emiliana Femiano è stata uccisa lo scorso 23 novembre con 64 coltellate. Non ho gli strumenti tecnici per consigliare al legislatore un inasprimento del regime di custodia cautelare per chi è accusato di crimini efferati contro le donne, ma so per certo che occorre andare oltre la fattispecie normativa dello stalking. Tra i tanti messaggi che l’Anfora dell’UDI ha consentito di veicolare, ce ne era uno, a mio parere, importante, perché rivolto alla classe politica: una legislazione specifica che determini la previsione di un nuovo e precipuo eato, il femminicidio. Solo con tutte le sinergie possibili si potrebbe approntare un disegno di legge bipartisan, che consenta alle istituzioni di fare la propria parte nel contrastare il fenomeno della violenza di genere. La mamma di Emiliana Femiano ha chiesto ai giudici che Luigi Faccetti venga condannato all’ergastolo affinchè “nessuna altra madre abbia a soffrire le pene che sto soffrendo io”. Di rimando, io rivolgo un appello alle nostre parlamentari, a qualunque schieramento appartengano, affinchè lavorino, con piena unità d’intenti, alla predisposizione di un testo normativo che, configurando la specificità dell’omicidio che abbia come vittima una donna, disponga misure che ne tutelino la sicurezza, oltremodo per chi denuncia coraggiosamente il proprio aguzzino e chi nelle more del processo non può vederlo circolare impunemente. La necessità di un impegno più consapevole e foriero di risultati positivi risulta più che mai una tappa obbligata, per Emiliana, che è morta assassinata per aver creduto in una giustizia che le assicurasse il diritto alla vita, per tutte le altre donne che non si rassegnano a vivere un presente fatto di violenza e di sopraffazione, ma anche per chi non ha la forza di gridare il suo bisogno d’aiuto.
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