Li hanno chiamati i “vignettisti”, i quattro intellettuali morti questa mattina sotto il fuoco di armi da guerra, nel centro di Parigi. Li hanno uccisi di mercoledì, sapendo che era durante la riunione di redazione settimanale, del “Charlie Hebdo”, che ci sarebbero state anche le firme più importanti. E così è stato. Sono stati chiamati per nome e cognome dai terroristi, come in un macabro appello, e sono caduti a terra Bernard Verlhac, conosciuto come Tignous. Insieme a lui il direttore del settimanale, Charb, eppoi Cabu e Wolinsky. In totale 12 vittime, al momento. Un attacco al cuore della cultura, perché la satira è come la poesia, una condensazione estrema del pensiero. Attività disperante e per pochi. La sintesi delle sintesi, direbbe Kant, attività faticosissima, perché arriva al nocciolo delle questioni. Spoglia, sveste, toglie il superfluo per tirar fuori l’essenza, come il pezzo di marmo da cui lo scultore fa uscir fuori la forma, ossia l’anima che ha in mente. E per far questo c’è bisogno di muscoli e cuore. Bisogna conoscere gli angoli più oscuri e non aver paura della stanchezza né della confusione, bisogna essere morbidi nel disincanto. Li hanno chiamati “vignettisti”, questi artisti poeti, artigiani del pensiero, che nella loro vita sono riusciti a condensare con un tratto di penna e uno sguardo irriverente i vizi, gli abusi, le passioni e le tristezze della nostra società. La nostra decadenza sorridente. In particolare Wolinsky, autore che ho tanto amato per il cinismo intelligente e spiazzante con cui ha sempre dipinto, in immagine e pensiero, l’attività più divertente dell’umanità: il sesso.
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