Da quel famoso 11 febbraio 2011 gli organi di stampa non hanno mai fino ad oggi così tanto menzionato il movimento come sul tema della maternità surrogata....
Sollecitate a più riprese negli ultimi tempi sia da commenti negativi sui propri silenzi, sia da richieste esplicite di proprie parole sulle tematiche di genere all’ordine del confronto politico, le donne di Se non ora quando sono intervenute in merito alla stepchild adoption, ossia la possibilità di adottare il figlio del/la partner, prevista dal ddl Cirinnà sulle unioni civili, la cui discussione è calendarizzata per il prossimo mese di gennaio. Poiché dai media si era appresa dell’eventualità che tale facoltà fosse stralciata dal correlato disegno di legge, ipotesi probabilmente legata alla necessità di rinsaldare l’asse governativo messo alla prova sull’argomento dai continui distinguo dell’ala conservatrice dell’esecutivo, i comitati territoriali di Se non ora quando hanno rimarcato con un appello la propria posizione. Si è difatti ribadito un netto no alla soluzione di estrapolare dal testo normativo quel tipo di adozione per farla oggetto, semmai, di un apposito decreto, precisando quanto tutto ciò sapesse “di vecchia politica”. “Rimettere mano al tema delle unioni civili facendo divenire i bimbi vittime sacrificali di giochi utili a ricompattare la maggioranza” alla guida del Paese, si scrive nell’appello, trova fermamente contrario Se non ora quando.
Senonchè questo intervento, chiarificatore delle proprie posizioni ideali, dagli organi di stampa è stato utilizzato per contrapporre l’intero movimento ad un suo gruppo tematico, Snoq-Libere, che precedentemente si era espresso contro la maternità surrogata, sottolineando in un proprio comunicato che “il desiderio di figli non può diventare un diritto da affermare a ogni costo”. Ma nel proprio appello Se non ora quando su tale questione non è intervenuto, se non per affermare che la maternità surrogata non possa essere utilizzata “come una clava per abbattere la stepchild adoption”. Si è preferito, invece, schierare le une contro le altre le donne di Se non ora quando, seppure il movimento per il tramite del Coordinamento nazionale dei suoi comitati non aveva per nulla preso posizione sul tema della maternità surrogata. Di certo il terreno dei diritti civili in Italia è particolarmente impervio, ma scrivere che potrebbe esserci “il serio rischio di compromettere il diritto di un bambino che cresce in una famiglia omogenitoriale a ricevere garanzie di legge” analoghe a quelle esistenti nelle famiglie eterosessuali, vuol dire stare dalla parte dei 100.000 bambini, che vivono in coppie di fatto dello stesso sesso. Non c’è altro significato e non compie opera meritoria chi strumentalmente ne pone uno diverso di significato.
Forse i media hanno scelto di puntare su altro, ossia sulle divisioni tra donne seppure della stessa appartenenza, perché faceva leggere di più scrivere di conflitti femministi o femminili. Mica si potevano puntare i riflettori sul variegato mondo delle donne italiane, associate e no, che da tempo si occupano di maternità surrogata, per mettere a confronto le loro posizioni, ma soprattutto per fare acquisire consapevolezza al lettore della tematica in oggetto. Se non ora quando è ben consapevole di essere solo una parte di questa galassia e non pretende in alcun modo né di rappresentarla né di esserne la stella cometa. Non ci sta a fomentare i contrasti, semmai, a lavorare per giungere ad una condivisione d’intenti sugli obiettivi da perseguire per rendere il Paese più a misura di donna. Concertazione da cercare di volta in volta su specifiche parole d’ordine come, nel caso della stepchild adoption, l’eguale trattamento giuridico dei figli di tutte le famiglie italiane. Questo è stato il fil rouge perseguito dai comitati territoriali di Se non ora quando nella ricerca di una posizione comune, filo che anche dal comitato tematico Snoq-Factory ha condiviso.
Fare apparire divisivo il risultato dell’impegno messo in campo con tenacia da decine di comitati appare conseguentemente fuorviante. E’ comprensibile a chi non giovi un’operazione del genere, certamente non a Se non ora quando, ma a ben vedere neppure alle donne italiane. Pubblicare, come fa L’Espresso, che “alcune realtà territoriali del movimento hanno cambiato nome per continuare a lavorare senza essere trascinate nella contesa o in azioni poco condivise dalle due sigle nazionali (ndr, Snoq-Factory e Snoq-Libere)” non tiene conto delle campagne e dei vari comunicati su cui v’è stato pieno accordo, perché frutto di un’elaborazione concettuale autonoma da parte dei comitati territoriali. Per citarne solo alcuni, la mobilitazione sugli emendamenti all’Italicum in tema di democrazia paritaria, la lettera aperta alla ministra Giannini sull’educazione di genere nelle scuole pubbliche, la campagna denominata Donne con la A, per un appropriato uso della declinazione al femminile delle parole. Da quel famoso 11 febbraio 2011 gli organi di stampa non hanno mai fino ad oggi così tanto menzionato il movimento come sul tema della maternità surrogata, su cui il Coordinamento nazionale dei comitati Se non ora quando non ha mai preso posizione. “Così è, se vi pare” sarebbe la citazione letteraria che ben si staglierebbe a chi scrive oggi di Se non ora quando. A volerlo il movimento potrebbe, invece, essere conosciuto meglio, se solo si descrivesse l’impegno profuso dalle singole rappresentanze locali per fare sentire la voce delle donne sui temi che più le riguardano nei propri contesti di riferimento. Preferiscono, invece, dividerci e lo facciano pure, ma non con il nome di Se non ora quando.
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