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A proposito di recenti direttive e protocolli contro la violenza di genere

A proposito di recenti direttive e protocolli contro la violenza di genere

Mentre alcuni nuovi atti istituzionali vanno nella direzione di contrastare la violenza di genere, altre iniziative creano confusione e false aspettative

Martedi, 12/05/2020 - In questo periodo particolare caratterizzato dall’emergenza sanitaria legata al Covid 19, un altro “virus” ha continuato a mietere vittime. Sono state undici le donne morte di femminicidio durante le nove settimane di quarantena, ossia Larisa (4 marzo), Barbara (10 marzo), Bruna (13 marzo), Rossella (19 marzo), Lorena (31 marzo), Gina (2 aprile), Viviana (6 aprile), Maria Angela (16 aprile), Alessandra (19 aprile), Marisa (5 maggio) e Susy (8 maggio). Questo drammatico elenco è stato predisposto da Amnesty Italia, che si è spinta oltre questa tragica conta per chiedere che “siano adottati tutti i provvedimenti necessari per fuggire da uomini violenti, favorendo le modalità di denuncia e mettendo a disposizione luoghi sicuri per le donne che intendono denunciare la violenza e che si trovano in situazione di pericolo".
Già, adottare “provvedimenti necessari per fuggire da uomini violenti” dovrebbe essere un imperativo categorico per chi è impegnato a livello istituzionale nel contrasto alla violenza di genere. In questo solco indubbiamente si pone la direttiva emanata lo scorso marzo dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Trento, dott. Sandro Raimondi, avente ad oggetto “Ulteriori misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica”. Tale atto istituzionale parte da una specifica premessa, quale “che la convivenza forzata, alla quale siamo tutti obbligati in questo periodo di emergenza sanitaria in applicazione delle disposizioni vigenti, può essere pericolosa sul fronte della violenza domestica. Le mura domestiche proteggono dal possibile contagio dal COVID-19, ma non dagli eventuali maltrattamenti da parte di conviventi”.
Il magistrato a ciò fa conseguire che “la Procura della Repubblica di Trento è allertata e pronta ad intervenire tempestivamente adottando i provvedimenti giudiziari che si renderanno necessari, in particolare volti a far sì che le situazioni di pericolo contingente siano risolte attraverso una collocazione dei maltrattanti presso un domicilio diverso da quello dove vivono i componenti del nucleo familiare che subiscono violenza domestica”. Nel contempo si dispone che “Tutti gli appartenenti all’Arma dei Carabinieri, alla Polizia di Stato, alla Guardia di Finanza, alla Polizia Penitenziaria, alle Polizie Locali monitorino queste situazioni e provvedano alla gestione di eventuali gravi e indifferibili emergenze che dovessero verificarsi, rappresentando alle vittime che i servizi antiviolenza della provincia di Trento sono attivi anche in questo periodo”.
Il dott. Raimondi ha definito “stringata” la direttiva, perché a monte presuppone un raccordo con i servizi antiviolenza, per consentire “un rafforzamento”, peraltro già iniziato da tempo, dell’impegno degli uffici, che dirige, alla tutela delle vittime di violenza di genere. Il suddetto magistrato è stato mosso, nell’emanazione di tale direttiva, dalla constatazione che “le telefonate prima numerose si sono azzerate”, nonchè dalla preoccupazione che durante l’emergenza coronavirus la convivenza forzata potesse essere pericolosa sul fronte della violenza domestica.
Non è trascorso neppure un mese dalla comunicazione di tale disposizione che si è all’uopo presentato un caso da risolvere tempestivamente, tant’è che il coniuge maltrattante se ne è dovuto andare via dal domicilio familiare, con l’aggiunta del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla moglie e dalla figlia. Tale misura è stata dettata dalla necessità di tutelare le vittime di violenza nel periodo di lockdown, evitando di esporre la donna e la bambina anche al contagio da coronavirus, probabilmente conseguente alla loro allocazione in strutture protette, dopo la denuncia del maltrattante perpetrata alle autorità competenti. Si è così data attuazione alla direttiva per la quale “le situazioni di pericolo contingente siano risolte attraverso una collocazione dei maltrattanti presso un domicilio diverso da quello dove vivono i componenti del nucleo familiare che subiscono violenza domestica”.
Il 1° aprile, invece, sempre in tema di contrasto al fenomeno della violenza di genere, è stato firmato un Protocollo d’Intesa tra la Ministra per le Pari Opportunità e la Famiglia, Elena Bonetti, con la Federazione degli Ordini dei Farmacisti, Federfarma e Assofarm, per la diffusione del numero di pubblica utilità 1522. Senonchè da molti media è stata erroneamente interpretato questo accordo, facendo intendere che si potesse entrare in farmacia, chiedere “Mascherina 1522” e abilitare il professionista a chiamare tale numero per segnalare la violenza che gli fosse stata “confessata” dalla cliente, che aveva utilizzato quel termine in codice.
La confusione è stata talmente tanta, che è dovuto intervenire a chiarimento il Dipartimento delle Pari Opportunità presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, consentendo in tal modo al ministero di spiegare che “non rientra nei termini dell’accordo siglato il 1° aprile dalla Ministra” che “Mascherina 1522” sia “un codice o parola d’ordine che le donne vittime di violenza dovrebbero segretamente segnalare ai farmacisti”. Conseguentemente, chiedere al proprio farmacista “Vorrei una mascherina 1522” non attiva in alcun modo una rete d’aiuto per, ad esempio, una vittima di abusi familiari. Occorrerebbe evitare che si creino facili illusioni, proprio tenendo nella massima considerazione il bisogno di protezione delle donne in difficoltà. Come sembrerebbe che sia accaduto a vedere le cartoline che sono state redatte per pubblicizzare questo pseudo presidio contro la violenza di genere.
Ad onore del vero D.i.Re, Donne in Rete contro la violenza, l’associazione nazionale che riunisce 81 organizzazioni che gestiscono centri antiviolenza e case rifugio in 18 regioni, con un proprio comunicato del 4 maggio scorso aveva precisato che l’iniziativa messa in campo
dal suindicato protocollo era finalizzata esclusivamente ad “indirizzare le donne vittime di violenza e di stalking al 1522, al fine di avviare un percorso di uscita da situazioni di criticità in ambito domestico”. Ossia il protocollo aveva la valenza di informare e divulgare il servizio 1522, attraverso materiale promozionale che consentisse alla eventuale vittima di abusi di chiamare quel numero per essere messa direttamente in contatto con il centro antiviolenza del suo territorio.
Chiunque intenda trasformare il protocollo di aprile in altro, rispetto al semplice strumento di pubblicità del numero 1522, sbaglierebbe perché presterebbe il fianco ad illudere le donne bisognose di tutela che un farmacista possa denunciare al loro posto. Si trasformerebbe in tal modo l’approccio del contrasto alla violenza di genere che, da pubblico quale deve essere in primis con il coinvolgimento dei soggetti istituzionali, diverrebbe a carattere individuale, perché demandato a singole persone. In conclusione, mentre la direttiva della Procura della Repubblica di Trento può assumere la valenza di apripista per atti similari da parte di altre realtà giudiziarie, Mascherina 1522, quale termine in codice per denunciare in farmacia la violenza di genere, potrebbe definirsi una vera e propria fake news. Ha proprio ragione l’avv.ta Maria Pia Vigilante, presidente di G. I. R. A. F. F. A. AH! Onlus un’associazione costituita da donne che si occupano di donne vittime di violenza, quando, al riguardo di Mascherina 1522, scrive in rete: “Giù le mani dai corpi delle donne e da queste tematiche che non è possibile trattare con questa superficialità”.




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