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 A proposito di hatespeech quotidiano: considerazioni sull’etica dello scherzo

A proposito di hatespeech quotidiano: considerazioni sull’etica dello scherzo

Un messaggio anonimo firmato 'Lupara bianca', che ha niente a che vedere con l'umorismo. Anzi rivela

Venerdi, 26/04/2019 - Fighe del cazzo, Fuori da (…) Firmato Lupara bianca.
E poi, a breve distanza:
Siete tutte insieme? Fate un’orgia?

Questo messaggio anonimo, considerato uno scherzo da parte di chi l’ha scritto, è l’incipit sul quale vorrei provare a ragionare su cosa sia oggi reputato ‘divertente’.
E comincio dalla cultura antica.
C’è un testo, in particolare, rimastomi impresso dai tempi dello studio della cultura greca al liceo: si tratta dell’Etica Nicomachea, una raccolta di appunti di Aristotele scritti in oltre dieci anni, nella quale il filosofo tocca con attenzione, e lungamente, il tema dell’amicizia. Ed è proprio a proposito dell’amicizia, quindi della relazione affettiva di elezione nell’umanità, che Aristotele analizza i limiti, e le caratteristiche, dello scherzo e dello scherzare, uno dei modi di alleviare, arricchire e cementare i legami tra le persone.
Senza diffondermi troppo dirò che la vicenda, sgradevole e molto significativa che voglio qui condividere affonda le sue radici, secondo me, anche nella diffusione, a partire dagli anni ’90 in Italia, delle trasmissioni televisive dedicate allo scherzo: sono entrambe del 1992 le storiche Scherzi a parte e La sai l’ultima, tra le prime emissioni dei canali privati che introdussero a piene mani l’uso, prima sconosciuto, delle risate e degli applausi registrati a sottolineare, individuandoli a priori, i contenuti ‘buffi’ e ‘divertenti’.
Ridere, dover ridere per forza e sempre,(da allora e come non mai prima), è diventato una sorta di imperativo, nella tv dell’intrattenimento ad ogni costo: perché scherzare, far ridere ed essere di buon umore era stabilito essere inesorabilmente un indicatore di qualità della vita, a prescindere dalla reale qualità della vita stessa, senza curarsi dalle conseguenze eventualmente generate dal tipo di scherzo e di risate prodotte.
Fattela una risata: così, di norma, si stempera l’assertività di chi prova a portare argomenti ritenuti pesanti in un contesto nel quale si presume che la serietà non debba entrare.
Il gruppo sociale delle femministe, (ma anche delle ‘semplici’ donne) e in genere chi si occupa di diritti e discriminazioni, è puntualmente additato come scarsamente dotato di senso dell’umorismo, nonostante esistano prove illustri che smentiscono questo stereotipo, come per esempio il recente ritorno della Tv delle ragazze con il suo stuolo di eccellenti attrici comiche.
Il problema non è ridere, gesto che è sempre gradevole, necessario e salutare, ma il motivo per il quale si ride: la peculiarità dello scherzare, come di ogni altra azione volontaria messa in atto nelle relazioni, dipende dall’intento di chi agisce.
Ecco la storia che vi voglio raccontare, al centro della quale ci sono appunto, un cosiddetto scherzo, che diventa rivelatore dell’analfabetismo emotivo, dell’ignoranza e del senso di potere che la (presunta) impunità dell’anonimato fornisce nel mondo social.
Il contesto è quello di un evento culturale promosso da un gruppo femminista, al quale partecipano ospiti da varie parti d’Italia.
Al termine di una delle giornate dell’iniziativa, durante la notte, ad una delle intervenute arrivano due messaggi da un numero sconosciuto.
Il testo (dal quale tolgo i particolari per tutela di chi l’ha ricevuto) è questo: Fighe del cazzo, Fuori da… Firmato Lupara bianca. E poi, a breve distanza: Siete tutte insieme? Fate un’orgia?
Ci sono molti elementi per preoccuparsi: la scelta del momento; (la notte), l’anonimato, la volgarità, il sessismo, la minaccia (la lupara bianca).
Dopo qualche ora si scoprirà che il messaggio non proviene da persone sconosciute animate da intento intimidatorio, (come per parte della notte in un primo momento si è temuto), ma bensì da una coppia di ‘amici’ di una delle partecipanti.
La situazione assume dunque una piega diversa.
Si può pensare che degli ‘amici’ possano agire così, considerando il gesto e il suo contenuto alla stregua di uno scherzo? A questa domanda, non retorica, arriva come risposta la mail di una delle due persone della coppia, il giorno dopo. Si tratta di una donna sui quarant’anni: il telefono dal quale sono stati spediti i messaggi è il suo, l’autore è il suo compagno.
Lui, che pure è l’esecutore materiale e ha usato il cellulare della compagna per spedire i messaggi, non apparirà mai, in questa vicenda: anche questo è motivo di analisi.
Forse perché resasi conto del suo inevitabile coinvolgimento dal momento che il cellulare è il suo, la donna invia una mail (firmata solo con il nome di battesimo) tentando di minimizzare l’accaduto, definendo più volte l’accaduto comeuno scherzo (nel corso della mail la parola ricorre ben sei volte). Chiameremo M la donna e A l’uomo; di seguito ecco la mail esplicativa dello scherzo.
“Buongiorno,sono M, la persona dal cui telefono sono partiti gli sms di scherzo. Non sono l'autrice dello scherzo, il quale di fatto era una comunicazione in corso tra l'autore, A, e S, una risposta ad un precedente scherzo di S ad A. È stato usato il mio telefono perché il numero era sconosciuto a S. Questo, a grandi linee, il contesto.
Ritengo che la misura della "pesantezza" di uno scherzo sia data non solo dall'argomento, ma da altri due criteri: credibilità e durata. Il messaggio mi sembra piuttosto ingenuo e contiene almeno un elemento non credibile: la firma (oltre al fatto che il numero telefonico di S non è pubblico, credo). Dato che nonostante la voluta ingenuità della formulazione, è stato preso sul serio, è entrato in gioco anche il secondo fattore, quello del tempo.
Chiediamo scusa perché lo scherzo è durato troppo e il fatto di averlo divulgato immediatamente a più persone ha creato uno scompiglio inaspettato e superiore all'intenzione.
Per quanto riguarda l'argomento, da parte dell'autore non c'era nessun intendimento discriminatorio o derisorio, ma solo provocatorio.
È nella natura dello scherzo il ‘pungere sul vivo’, e non rappresentare il pensiero di chi lo perpetra. Ci scusiamo se qualcuna di voi si è sentita offesa dalla stupidità del contenuto. Spero di essere riuscita a chiarire la nostra posizione. M e A".

Il testo ha molti fattori interessanti, rivelatori dell’ignoranza, dell’analfabetismo emotivo e dell’impunità sottesa, percepita come una sorta di diritto derivante dell’anonimato del quale scrivevo pocanzi.
L’elemento che spicca, dal mio punto di vista, è la funzione di vestale e protettrice assunta dalla donna: pur essendo lei ad andare nei guai se si decidesse di sporgere denuncia ella scrive, giustifica, spiega, con toni perfino arroganti, l’accaduto, ma sempre da sola. Lui non c’è, non ha voce se non attraverso di lei, sodale-ancella, che poi firma in chiusura anche per lui, l’autore materiale che, però, scompare. Degno di nota il tentativo di elevare la meschinità a provocazione, salvo poi precipitare nel nonsense grottesco affermando che quando si ‘scherza’ non si rappresenta il pensiero di chi attua lo scherzo. Come a dire che sto scrivendo ma la mano che digita non ha un cervello che pensa mentre guida le dita.
Pur in possesso di media intelligenza non si può non essere sfiorati dal dubbio che tutta questa vicenda non possa essere considerata leggera o scherzosa.
Eppure sono migliaia le persone che ridono di fronte agli insulti, ai video derisori e denigranti che ogni giorno trovano audience e like nei social, dove vengono pubblicati e rilanciati materiali definiti divertenti, che quindi dovrebbero far ridere, con contenuti simili e peggiori di quelli narrati.
Nessuno del gruppo che è stato, suo malgrado, vittima delle frasi della coppia in questione le ha trovate scherzose, né pungenti, né tantomeno ingenue. Tante persone le hanno lette: hanno leggo sullo schermo del telefono quelle parole offensive e minacciose, aggravate dall’anonimato, che è sempre segno di vigliaccheria.
La performance dei due quarantenni svela un abisso di ignoranza e dimediocrità assai diffusi in Italia, che tracima da questi pseudo adulti ai loro figli e figlie, quando purtroppo essi si riproducono, perché questa è parte dell’educazione che impartiscono, e che domina.
Il problema della inconsapevolezza su ciò che è scherzo, e su ciò che non lo è, sta soprattutto nel non sentirsi responsabili delle proprie azioni.
Così come gli haters, che quando sono smascherati si difendono giustificandosi con la rabbia o lo sdegno, così questi due mediocri ammantano le proprie gesta con la copertura dello scherzo, come se questo li sollevasse dall’essere responsabili.
Quello che temo è che due persone adulte, quali i due protagonisti sono dal punto di vista puramente anagrafico, non siano recuperabili al mondo dell’intelligere e soprattutto del compatire, se non si rendono conto della gravità delle proprie azioni e si ostinano a considerarle scherzo.

di Monica Lanfranco www.monicalanfranco.it - www.mareaonline.it


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