A PROPOSITO DI DONNE E MACHISMO, LETTERA APERTA A MICHELE SERRA.
Dopo l'avanspettacolo di Berlusconi, che offende una donna, mentre sta esercitando il suo lavoro, l'articolo, anzi, gli articoli "dubbi" di Michele Serra
devo dirle che le sue due ultime “amache” non mi sono piaciute per niente. E la cosa mi rattrista, perché fino tre giorni fa la leggevo con gusto. Vede, anch’io, come lei, ho assistito attonita, allo spettacolo del cavaliere sbruffone e della pulzella sprovveduta. A sconcertarmi, però, non è stata la reazione della signora impiegata. Io, per esempio, se ricevo un’offesa, ruggisco senza badare da che livello o grado provenga (perché è evidente, per me, che chi oltraggia, sta dalla parte del torto). Ognuno, d’altra parte, risponde, secondo una serie indefinita di variabili e/o resistenze (emotive, psicologiche eccetera, eccetera). Berlusconi lo ometto. Chiaro, è la causa prima del “male” di cui dibattiamo, ma quello che mi preoccupa seriamente è la voracità del contagio. Per intenderci: la platea. Che si è mostrata accondiscendente, spalleggiatrice, portatrice mal-sana della misoginia compulsiva, che ostenta lo stolto e impotente Silvio. Da un acuto osservatore del suo calibro, avrei atteso una spruzzata al vetriolo sulle metastasi della cultura sessista dell’ultimo ventennio e sull’esigenza di proseguire a combattere in nome di una rifondazione dell’etica nella Società. Sottolineo “proseguire”, perché nel nostro Paese, da tempo, si muove un’orda virtuosa di donne che, non solo rifiutano lo status nel quale l’immaginario vetero-consumista le relega, ma propongono modelli di genere sostenibili, sfruttando, pensi un po’, l’intero arco di un giorno, per ribadirli, raccontarli, spiegarli, semmai insegnarli, ricorrendo all’estro, sì, ma sovente mostrando i segni della fatica di un lungo viaggio, che raccoglie il destino di strade da ripercorrere più volte. È questo, in fondo, il pegno di una consapevolezza, che molte di noi inseguono, con fiducia, affrante, instancabili. Essere donna in Italia, e brava madre e appassionata moglie ed efficiente lavoratrice, e libera pensatrice, è un traguardo tutt’altro che scontato, l’esito di una lotta, che si inerpica sulla forma e sulla sostanza della dignità, la stessa, che lei richiama. Vede, se ad avere scritto il suo articolo, fossero stati un Langone o un Cirillo qualsiasi, non mi sarei stupita. Il punto è che l’autore è proprio lei. La delusione perciò è aspra. La sua posizione necessita di una presa che, attualmente, è quanto meno ambigua. Lei deve scegliere da che parte stare. E lo deve fare in maniera netta. Ieri le sue parole non sono state partigiane di valori di civiltà. Hanno insinuato, processato a priori, secondo pregiudizi noti. E
oggi, mi perdoni, non ha rimediato. Perché, se al Paese si dovrà attribuire l’eventuale rivolta contro la successiva puntualizzazione della Signora, be’, questo non dipenderà esclusivamente dal padrone della ditta, candidato Pdl, ignaro di etica e avido di pubblicità, né da quella folla spettatrice, sulla quale ha incautamente (?) sorvolato, né dal “morbo(so)” Berlusconi, che sparge ovunque i germi della dottrina machista. Una buona responsabilità, caro Serra, spetterà a lei, a ciò che rappresenta, al potere che la sua voce esercita, essendo ascoltata da parecchi individui. In una battaglia di civiltà non ci si può sottrarre a nulla. Non è permesso dire e poi disdire. Non è consentito correggere il tiro, mutare il bersaglio. In una battaglia di civiltà, come questa, si decide. Se nutrire l’omofobia. Oppure respingerla, senza condizioni. Con coerenza, onestà. Se desideriamo ristabilire insieme le fondamenta di un sistema malandato, in cui che le vittime non sono semplicemente le donne, ma la società civile, nella sua totalità, di questo c’è bisogno, e non certo di rose.
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